«Tenor For The Times» si sostanzia si come un lavoro robusto, capace di tenere testa a certi piccoli gioielli di casa Blue Note degli anni Sessanta, quale affermazione di stile e consapevolezza idiomatica, in cui il sassofonista dimostra una notevole sensibilità interpretativa ed esecutiva.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Ricky Ford è un sassofonista versatile, capace di mantenere sempre la propria identità. Il suo modulo espressivo appare energico e diretto, con un suono pieno e muscolare, nel quale riesce però ad innestare elementi più lirici e ricercati. Rispetto alle «divinità» del sassofono, Ford si distingue per un approccio più concreto e finalizzato alle necessità del momento. Se pensiamo a Sonny Rollins, famoso per le sue lunghissime improvvisazioni, piene di variazioni e digressioni, ci avvediamo che Ford, invece, tende a essere più essenziale, riuscendo a comunicare molto do più in meno tempo, mostrando anche una certa affinità con Paul Gonsalves, soprattutto per il ruolo avuto nell’orchestra di Duke Ellington, ma rispetto a Gonsalves si esprime sulla scorta un linguaggio più moderno e incisivo. Il suo rapporto ideale Coleman Hawkins è evidente nel suono robusto e nella profondità armonica. Ford non si è mai attardato troppo a guardare nello specchietto retrovisore, ha sempre esplorato nuovi territori, lavorando con musicisti innovativi come Abdullah Ibrahim, riuscendo perfino ad evocare la fluidità di Stan Getz. Ciò che lo rende interessante è proprio l’equilibrio tra questi elementi: egli non è un mero emulatore, ma un musicista che ha interiorizzato le lezioni dei maestri, rielaborandole attraverso un personale modus agendi. Ford è un sassofonista che parla molte lingue del jazz senza risultare mai fuori posto o confuso in una Babele ridondante di citazionismo.
Con un background musicale profondamente radicato nella tradizione jazzistica, ma con una forte apertura verso l’innovazione, Ricky Ford classe1954, originario di Boston, inizia a studiare musica al New England Conservatory. La sua carriera decolla quando entra a far parte della Duke Ellington Orchestra sotto la direzione di Mercer Ellington (1974-1976), un’esperienza che gli ha permesso di immergersi nel linguaggio orchestrale del jazz; successivamente, approda alla corte di Charles Mingus (1976-1977). Al soldo del Contrabbassista di Nogales Ford sviluppa un fraseggio più incisivo dilatando la propria capacità di improvvisazione. Negli anni successivi è al fianco di Dannie Richmond, Lionel Hampton, Abdullah Ibrahim e Mal Waldron, dimostrando una non comune attitudine nel sapersi adattare a svariati moduli jazzistici. Negli anni ’90 si trasferisce a Parigi, dove insegna presso l’Istanbul Bilgi University (2001-2006), dando vita, nel 2009, al Toucy Jazz Festival.
Fissato su nastro nel 1981 per Muse Records, «Tenor For The Times» rappresenta un tassello importante nel percorso artistico di Ford, offrendo una selezione di brani che spaziano tra lirismo melodico e impeto improvvisativo. L’album è corroborato da un solido line-up: Albert Dailey al pianoforte, Rufus Reid al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria, una sezione ritmica di provata esperienza che garantisce al sassofonista di esprimersi con assertività e determinazione. L’opener, «This Our Love (Esse Nosso Amor)», si distingue per la struttura armonica raffinata e le influenze latine. Ford utilizza un fraseggio fluido e melodico, alimentando un singolare interplay tra il pianoforte di Albert Dailey e la sezione ritmica. La progressione armonica è ricca di modulazioni, da cui divampa un’atmosfera calda ed avvolgente. «Christmas Cheer» scandaglia un mood più rilassato, con un tema che si srotola attraverso variazioni melodiche puntellate. Il sassofono tenore del band-leader si scruta con disinvoltura il parenchima sonoro, alternando passaggi lirici a momenti più incisivi, mentre la batteria di Jimmy Cobb mantiene un groove leggero ma ben concepito. «Hour Samba» richiama le sonorità brasiliane, con un groove sincopato ed un uso intelligente delle pause. Ford dimostra un’inequivocabile padronanza del fraseggio ritmico, mentre il basso di Rufus Reid fornisce una base solida e pulsante. L’improvvisazione è vivace e magnificata da un dialogo serrato tra sax e pianoforte.
«Saxaceous Serenade» è un’ode alla saga del sassofono tenore, contrassegnata da un suono vaporoso e confortevole come una sauna. Ford utilizza un vibrato controllato ed un’equilibrata perifrasi espressiva, fino ad inabissarsi in un’ambientazione più intima e sottocutanea. Nel dettaglio, la struttura armonica risulta relativamente semplice, ma nel totale l’esecuzione compensa lo svolgimento del tema grazie all’opulenza delle sfumature. «Portrait Of Love» ostenta un carattere romantico, con una melodia crepuscolare ed un accompagnamento pacato. Ford indaga il registro medio-alto del sassofono, con frasi estese e ben articolate. Il pianoforte di Dailey aggiunge un tocco di delicatezza, mentre la sezione ritmica mantiene un andamento morbido e calibrato «Orb» è quasi un punto frattura, in cui il sassofonista si avventura in territori più sperimentali, con un tema astratto ed un’improvvisazione anarcoide, attraverso un distintivo utilizzo delle dissonanze ed un’esalazione ritmico-armonica meno convenzionale. La batteria di Cobb gioca un ruolo fondamentale operando fra tensione e rilascio. «Arcadian Eclipse» suggella l’album con un’apoteosi armonica complessa ed un’improvvisazione cinetica. Ford perlustra il registro grave del sassofono, secernendo un suono burroso e denso, mentre l’impianto incrementa lo score attraverso variazioni dinamiche, dove momenti di dispendiosa energia vengono alternati a passaggi più riflessivi e contenuti. La critica dell’epoca accolse positivamente l’album, evidenziando la qualità delle composizioni di Ford e la capacità di scavare a fondo nei materiali melodici. Nel complesso, «Tenor For The Times» si sostanzia come un lavoro robusto, capace di tenere testa a certi piccoli gioielli di casa Blue Note degli anni Sessanta, quale affermazione di stile e consapevolezza idiomatica, in cui il sassofonista dimostra una meritevole sensibilità interpretativa ed esecutiva. Sebbene egli abbia trascorso in ombra alcuni periodi della sua carriera, la rilevanza nel mondo del jazz, a partire dagli anni Settanta, rimane significativa, sia per le registrazioni da leader che attraverso le tante collaborazioni.
