L’album, come suggerisce il titolo stesso, esplora paesaggi, intesi tanto in senso geografico quanto culturale e spirituale, che mettono in dialogo gli orizzonti narrativi dei nativi americani con quelli degli «ultimi» della società americana ed europea, restituendo dignità a figure storicamente escluse dalla narrazione ufficiale.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Con «Landscapes (Songs in Opposition)», pubblicato da Felmay Records, il batterista e compositore Tiziano Tononi inaugura un nuovo capitolo della sua lunga parabola artistica, che dal 1979 ad oggi non ha mai smesso di interrogarsi sul rapporto tra musica, impegno civile e funzione etica dell’arte. L’opera si configura come una mappa sonora che attraversa territori della memoria collettiva, riportando alla luce le voci che nella storia della musica occidentale si sono levate contro l’ingiustizia, l’oppressione e la marginalizzazione.

Tononi non propone un semplice omaggio filologico alla canzone di protesta, ma un laboratorio sonoro aperto in cui convergono spiritualità jazzistica, urgenza politica e libertà interpretativa. L’album, come suggerisce il titolo stesso, esplora paesaggi, intesi tanto in senso geografico quanto culturale e spirituale che mettono in dialogo gli orizzonti narrativi dei nativi americani con quelli degli «ultimi» della società americana ed europea, restituendo dignità a figure storicamente escluse dalla narrazione ufficiale. Il repertorio abbracciato da Tononi va da Woody Guthrie a Joni Mitchell, da Neil Young a Sinead O’Connor, passando per John Trudell e Van Morrison, voci che hanno saputo incarnare nel tempo una poetica dell’opposizione. Tale scelta non è casuale, ma profondamente politica; la musica assume così il ruolo di dispositivo di consapevolezza, divenendo strumento per riattivare la coscienza storica e spirituale dell’ascoltatore.

L’esecuzione si distingue per un impianto sonoro ardito e mai accomodante. La presenza di giovani musicisti quali Margherita Carbonell, Alessio Premoli e Chantal Antonizzi, unita a quella di veterani come Cavallanti e Luppi, consente un equilibrio fra spontaneità espressiva e profondità esecutiva. Le orchestrazioni, curate da Tononi stesso, mostrano un’abilità rara nel ricreare atmosfere cangianti, che spaziano dal folk acustico più intimo al flusso aperto dell’improvvisazione jazzistica, passando per momenti di intensa potenza evocativa (si ascolti l’apertura «One More Day», con cornamuse che evocano il lamento arcaico delle culture oppresse). Ogni brano si presenta come un piccolo atto rituale, un frammento di una liturgia collettiva che oppone alla logica della rimozione il valore della memoria. «Deportees», nella sua nuova veste sonora, travalica i confini temporali della composizione originale per diventare monito attualissimo sui diritti dei migranti. «Cherokee Louise» di Joni Mitchell diventa, sotto le mani di Tononi, un piccolo poema sinfonico. Il climax si raggiunge con «Cortez the Killer», dove la tensione tra lirismo e aggressività si fa manifestazione viscerale dello scontro fra civiltà. Ma è l’intero progetto ad affermare un’idea forte: che l’artista, oggi più che mai, non possa sottrarsi alla responsabilità di intervenire nello spazio pubblico con gli strumenti che ha a disposizione. Se la società sembra voler anestetizzare le coscienze, Tononi ed i suoi musicisti rifiutano questo silenzio imposto, scolpendo con «Landscapes» un manifesto sonoro di resistenza e speranza.

«One More Day / Opening» apre il disco con un’introduzione dalla forte carica evocativa: la presenza delle cornamuse scozzesi (Pronesti, Percopo) suggerisce immediatamente un respiro rituale e collettivo, quasi a voler evocare un’adunata simbolica delle voci marginali. Tononi costruisce un crescendo orchestrale che alterna tensione armonica e sospensione, dove le percussioni agiscono come forza tellurica. L’assenza del violino, presente invece in tutti gli altri brani, contribuisce a creare un senso di attesa sospesa, come in un prologo teatrale. «Memory Lane» è un costrutto di intenso lirismo, giocato su modulazioni agrodolci e un interplay tra basso e chitarra elettrica che richiama una certa estetica post-rock intimista. Premoli disegna linee di chitarra stratificate che si sfilacciano in riverberi eterei, mentre il contrabbasso di Carbonell tiene il filo narrativo con eleganza. La voce, trattata con un timbro raccolto e riflessivo, esplora la memoria come costruzione politica oltre che emotiva. «This Land Is Your Land», rilettura del classico di Guthrie, è un manifesto dichiarato. La scelta del banjo (Paolo Botti) dona autenticità folk, ma il trattamento armonico e il fraseggio ritmico di Tononi spingono il brano verso territori quasi modali. Il cantato di Antonizzi evita la retorica, mantenendosi asciutto e diretto. Da notare il lavoro di dinamiche sottili nei background vocals, mai sovrabbondanti, ma sempre presenti come eco corale del testo. «Deportees» si sostanzia come una delle interpretazioni più intense: l’arrangiamento si sviluppa in forma quasi suite, con l’ingresso successivo degli strumenti che sorreggono l’accumulo della narrazione. Il banjo si fa lamento circolare, mentre il violino (Parrini) svolge un ruolo centrale nel creare tensione emotiva. La voce è drammatica ma controllata, ed il testo emerge come cronaca civile scandita dal battito costante delle spazzole di Tononi, che qui lavora in sottrazione per dare spazio alla componente testuale.

In «Cherokee Louise» l’arrangiamento risulta essere uno dei più articolati: l’uso del flauto e del sax soprano (Riccardo Luppi) decreta un alone quasi mistico. Il tema della violenza sistemica contro i più vulnerabili viene amplificato da un’atmosfera sonora che si fa rarefatta, mai ridondante. L’intervento del violino aggiunge pathos ma evita sentimentalismi. È una traccia che dimostra quanto equilibrio serva per trattare un tema così delicato con rispetto ed efficacia esecutiva. In «Cortez The Killer» il sax tenore di Daniele Cavallanti entra con forza in una contesto sonoro che si muove tra la psichedelia e l’improvvisazione. Le scelte ritmiche frammentate e dilatate restituiscono la tensione interna tra l’epica rock del brano originale e la rielaborazione jazzistica. Premoli scolpisce riff granitici, mentre Tononi destruttura i pattern con un approccio quasi da free drummer. L’effetto è elettrizzante. «Volunteers» è il componimento più breve ma anche tra i più esplosivi. La voce principale viene affiancata da background vocals incisivi (Danini e Calvano), che ne rinforzano il carattere collettivo. Qui l’arrangiamento vira su soluzioni più aggressive, quasi funk-punk, con la sezione ritmica che martella in levare e la chitarra elettrica che si spinge in fraseggi distorti. Un inno alla resistenza militante in forma compatta ed energica. Con «One More Day / End» in chiusura si riprende il tema d’apertura, implementato come una vera e propria risoluzione narrativa. L’ingresso del violino, assente nel preludio, chiude simbolicamente il cerchio armonico ed emotivo. Il contributo delle coriste e l’intensificarsi progressivo dell’insieme creano una sorta di epilogo corale, quasi una veglia collettiva. La composizione diventa luogo di una catarsi. In definitiva, questo progetto non è solo un contenitore di temi rivisitati, ma un corpus a sé stante, coerente ed intenso, che invita all’ascolto attivo, alla riflessione e, soprattutto, alla presa di posizione. In un’epoca in cui sovente si confonde il rumore con la parola e l’immagine con il senso, «Landscapes Volume1» di Tiziano Tononi ci ricorda che esiste ancora uno spazio per la musica come gesto etico e spirituale.

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