Il disco si sostanzia attraverso dieci componimenti originali a firma Visco, dal groove profondo e tenace, corroborati da ottimi arrangiamenti che evidenziano la capacita proteiformi del bassista-leader. La musica fluttua intercettando stimoli molteplici provenienti dai due emisferi della musica.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Un tempo la chiamavano fusion, frutto avvelenato e figlia degenere di un jazz zebrato che, dopo la svolta elettrica di Miles, tendeva a mescolare al vernacolo tradizionale elementi molteplici provenienti dal rock e dal funk; poi la proficua stagione di questa musica di confluenza che raccolse più di una messe di consensi trovando la massima espressione negli anni Settanta con i Weather Report di Zawinul e Shorter, fino a giungere alla felice e più rilassante stagione dello smooth-jazz, specie negli anni Ottanta e Novanta. Da lì in avanti, l’ibridazione del jazz con i suoi «fratelli-coltelli» non costituì, dunque, più un reato, ma divenne parte integrante di una storia che si evolveva sbirciando in tante direzioni. Un fenomeno acclamato Urbi et Orbi, fatta eccezione per qualche inveterato purista o laudatores temporis acti. Oggi, sono sempre più numerosi i cultori di queste sonorità che uniscono jazz, soul e funk, R&B, gospel, hip-hop, synth-pop, andando a costituire il leitmotiv ed il nervo di quella che viene indicata come BAM (Black American Music). Il bassista Danilo Visco con «Blond Rascal», pubblicato dall’etichetta Barly Records, ne propone una sua versione, ispirata ad un concept compositivo libertario e liberatorio, frutto di una personale ricerca all’interno di vari generi musicali finitimi. Volendo giocare con le parole, potremmo dire che l’intraprendente bassista abbia realizzato una sorta di BIM (Black Italian Music). Al netto, di ogni congettura, sono molte le anime che si agitano all’interno del parenchima sonoro sviluppato da Visco e dalla sua band. Sembra di sentire tutti insieme appassionatamente: Miles Davis, Isaac Hayes, Stevie Wonder, Wayne Shorter, Prince, George Benson, James Brown, John Coltrane, Herbie Hancock e George Clinton.
In «Blond Rascal», Danilo Visco basso elettrico, Fender Rhodes e tastiere, ha avuto il prezioso e sinergico sostegno di Giorgio Di Tullio alla batteria e timbales, Sergio Vitale alla tromba e flicorno, Luca Giustozzi al trombone, Alessandro Tomei al sax tenore, Alberto D’Alfonso al flauto, Enrico Ghelardi al sax soprano, Gianluca Littera all’armonica, Judy Puccinelli alla voce, Natalia Dudynska al violino e Kinga Fabia Sazdinska al violoncello. Le parole del titolare dell’impresa risultano assai esaustive per comprendere le dinamiche del progetto: «È un album di libera composizione frutto di una personale sperimentazione jazz-rock-funk. In questo lavoro sono presenti alcuni elementi musicali che hanno segnato il mio percorso artistico; mi affascina l’idea di comporre, arrangiare e orchestrare in modo creativo, veloce e aggressivo, con atmosfere rilassate, dilatate; i raffinati scenari bassistici fanno da cornice alla sostanzialità del brano. L’album è un ritratto con sfumature di puro sapore stilistico ed esplorativo: i colori sono l’anima, i tratti contrastanti seguono una linea trascendentale, irrazionale. La sequenza dei brani sono l’essenza di una ologenesi di ritmi, armonie e linguaggi».
Il disco si sostanzia attraverso dieci componimenti originali a firma Visco, dal groove profondo e tenace, corroborati da ottimi arrangiamenti che evidenziano la capacita proteiformi del bassista-leader. La musica fluttua intercettando stimoli molteplici provenienti dai due emisferi della musica. L’opener, «Black Off», è un trionfale funk-jazz segnato da una scrosciante sezione fiati e da un groove portentoso a metà strada tra Maceo Parker ed i Messengers di Art Blakey. Anche la successiva «Cumamma» si muove lancia in resta, ma preferisce esplorare i territori bazzicati da Kamasi Washington, creando un perfetta mistura di BAM di alto livello. «Open» mostra un afflato soulful più marcato ed un andamento dinoccolato da tipico funk metropolitano, mentre l’armonica fa rivivere talune atmosfere alla Stevie Wonder. Tutto ciò produce alternativamente dei piacevoli cambi di mood: a volte si sogna, altre volte si balla, altre ancora si fantastica. La title-track, «Blond Rascal» è un mid-range più profondo ed itinerante, dilatato nella struttura, a cui il piano elettrico conferisce un sapore vagamente retrò. «JoeJac» ha uno sviluppo progressivo e si solidifica sulla scorta di alcune istanze post-bop miste a certe ambientazioni kamasiane: su questo influisce molto l’uso epico, descrittivo e cinematografico delle voci. «Your Dream» si crogiola perfettamente sulla confluenza de vari stilemi di matrice afro-americana con un ostinato a presa rapida che funge da gancio melodico. «Noel Kerm» è la quiete dopo una tempesta di suoni: una ballata sotterranea che sembra emergere dalle viscere della terra riequilibrando il respiro delle emozioni come un benefico aerosol. «Snappin’» è un ottimo funk-bebop che ricorda il Miles Davis degli anni Ottanta. In conclusione, «Woired», un costrutto molto lineare, quasi smooth, e ben impiantato nel sistema armonico con un interludio di violino che sembrerebbe deviare il corso del fiume, ma i soliti fiati, agguerriti e carichi di funkiness, sono in agguato e pronti a difendere l’eroico avamposto costruito dal comandante Visco e dai suoi sodali. «Blond Rascal» può essere paragonato ad un marchingegno perfettamente funzionante, fatto di precisi ingranaggi sonori come un orologio svizzero. Durante la fruizione del disco, il cosiddetto «trasferimento della sensazione» avviene costantemente: le idee distillate dal line-up colpiscono il target e non passano mai inosservate.