Interscambi, legami ed intrecci che implodono ed esplodono in un microcosmo sonoro dilatato, dove il sistema dei vasi comunicanti favorisce l’ingresso di molteplici particelle attive e reattive…

// di Francesco Cataldo Verrina //

Quando la chimica degli elementi e delle emozioni si combinano, la risultante non può che essere un album come «Entanglements», il secondo lavoro di Fabio Tullio per la A.MA Records di Antonio Martino. Interscambi, legami ed intrecci che implodono ed esplodono in un microcosmo sonoro dilatato, dove il sistema dei vasi comunicanti favorisce l’ingresso di molteplici particelle attive e reattive, che rappresentano la summa della lunga esperienza del sassofonista romano al fianco di firme autorevoli del jazz europeo e del suo significativo apporto ad un’infinita serie di sessioni per conto terzi. Fabio Tullio, da qualche anno, facendo virtù dell’esperienza, distilla album che nascono all’interno di un fluido processo di sovrapposizione e modularità creativa.

Ispirato dalle relazioni quantistiche e dai legami tra le particelle che interagendo possono dare vita un sistema più complesso acquisendo e condividendo nuove proprietà, «Entanglements» dall’inglese Entanglement («intreccio» o «legame») riflette la capacità di mettere insieme musicisti, di differente cabotaggio, al fine di per generare qualcosa che prima non esisteva, come tanti affluenti che si riversano in grande fiume, divenendo una cosa altra. Un variegato ensemble capace di assorbire gli assunti basilari dell’idea, ampliandone lo spettro percettivo, ma ritornando sempre come un boomerang, alla cellula propulsiva del concept iniziale: Fabio Tullio sax tenore, alto, soprano e synt; Alessandro Gwis pianoforte, piano elettrico e tastiere; Andrea Colella contrabbasso e basso elettrico; Massimiliano De Lucia batteria; Andrea Gomellini chitarra; Marta Capponi voce; Valerio Vantaggio batteria; Claudio Corvini tromba e flicorno; Simone «Federicuccio» Talone Percussioni. Le parole del sassofonista-leader appaiono alquanto eloquenti in proposito: «Dopotutto, musica e matematica sono andate di pari passo fin dalle loro origini. Qui l’intreccio, come processo basilare del fare musica (soprattutto nel jazz) e quindi temi complessi, linee melodiche che si muovono da uno strumento all’altro, si sovrappongono, si separano e poi si riuniscono in un invito all’improvvisazione, ognuno alla ricerca dell’altro, in modo creativo ma pur sempre in un strutturato intreccio».

Entanglements» è un disco che emerge progressivamente dal sottosuolo dell’anima del compositore laziale, il quale non tenta i fuochi d’artificio o l’arte del camaleontismo piacione per conquistare il fruitore con facili trastulli, ma lo seduce lentamente attirandolo nel spire di un sound ribollente e verticale che scaturisce dalle viscere della terra come un geyser con le sue acque sulfuree, emanando in superficie esalazioni stordenti, in cui spirito e materia, immanenza e trascendenza si fondono in uno percorso tematico di coltraniana memoria. Basta intercettare i segnali provenienti dall’opener, «Don’t Forget», in cui la convincente voce di Marta Capponi funge da anticamera allo sviluppo tematico magnificato dalla progressione del sassofono: non c’è fretta, le note sono distribuite con oculatezza, perfino gli spazi recitano la loro parte; la sezione ritmica fa capolino, scruta l’ambiente circostante, si evolve e si dissolve, mentre il costrutto sonoro cresce in verticale senza mai inclinarsi o tentennare. «The Balance», nomen omen, il titolo non tradisce l’idea del componimento, dove il rigoroso arrangiamento a maglie larghe consente una sinergica confluenza fra sassofono, pianoforte e chitarra, in cui tutto risulta pesato e bilanciato in maniera mercuriale. Per contro, l’improvvisazione collettiva ed unilaterale produce un senso di appagamento e di sorpresa, al contempo, come un qualcosa di inatteso. Il convoglio si muove quasi sotto traccia evitando d’incappare nel radar della banalità, mentre a tratti sopraggiungono echi lontani ed ambientazioni dilatate e misteriche in odor di Shorter, tanto che la title-track, «Entanglements», diventa la rappresentazione onirica di un microcosmo sfuggente, in cui il sassofono si racconta quasi sottovoce, ma scevro da incubi ed oppressioni: la struggente melodia fa tutto il resto.

Sono, comunque, solo suggestioni, poiché Fabio Tullio non cade nella trappola di guardare troppo nello specchietto visore: il suo teorema alfa-numerico è ben saldo su una precisa tabula combinatoria, in cui modi e tempi si sprigionano dallo zeitgeist del momento, dall’abilità combinatoria e dalle «pericolose relazione» fra i vari componenti del suo intercambiabile line-up. «Ode» è una ballata crepuscolare dai tentacoli melodici stritolanti. Un complesso residenziale per emozioni soulful, un’open space a cui il piano elettrico aggiunge qualche digressione fusion. «The Return Of Mr. Crohn» è un viaggio di andata e ritorno fra tradizione e contemporaneità, dove elementi funkified metropolitani fanno la spola su un terreno post-bop. «Elements» evidenzia l’attitudine di Fabio Tullio nel saper crogiolare stilemi e linguaggi molteplici che includono anche rimembranze eurodotte e tentazioni pop. In chiusura, «Untitled Spiritual / Intro-Jurney-Dilemma», un ponte fra passato e presente, fra Trane e Kamasi Washngton. «Entanglements» di Fabio Tullio è un lavoro di alta sartoria jazzistica, intessuto con seta finissima, salde cuciture armoniche ed arrangiamenti imbastiti per un outfit sonoro distintivo. Un disco fatto per restare e durare nel tempo.