Ada riesce a penetrare, con disinvoltura, testi decisamente aulici e liriche che trattano di tormenti amorosi, nonostante l’elemento ritmico tipico dell’orchestrazione jazzistica fa emergere una fisicità predominante di tipo audiotattile, dove la musica scandisce il tempo dei fonemi e le parole diventano un tutt’uno con il costrutto sonoro.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Oggi viviamo in un’epoca dove tutto si mescola e fluisce con estrema facilità, in cui ogni artista, a prescindere dal ceto, dal genere e dal censo, è libero di esprimersi almeno nelle società occidentali a capitalismo avanzato, con l’eccezione di alcune teocrazie islamiche dove il canto è considerato qualcosa peccaminoso e lussurioso, quindi è vietato, specie alle donne. In un momento non molto lontano, durante la cosiddetta era barocca, anche dalle nostre parti il canto era proibito, soprattutto alle donne: la rigida Santa Inquisizione non lo consentiva e le conseguenze potevano essere fatali per quante osavano trasgredire. A quel tempo, le donne venivano sostituite dai cosiddetti «cantori evirati», giovinetti castrati durante la pubertà, i quali sviluppavano una vocalità ed un falsetto femmineo. Ciononostante nel Seicento le donne si affacciarono per la prima volta sulla scena culturale. Si pensi ad un personaggio come Artemisia Gentileschi che ebbe il coraggio di portare avanti i propri talenti nonostante tutti i divieti e le forze ostative. «Canto Proibito», la nuova opera meritoria di Ada Montellanico, artista sempre esposta sul crinale di una profonda ricerca culturale ed intellettuale legata alla musica, riporta in auge alcuni capolavori di quel periodo storico, il medio-tardo barocco, in cui alle donne era fatto assoluto divieto di cantare e di esibirsi in pubblico. La cantautrice romana precisa: «È un periodo che mi ha sempre affascinato e dove la musica ha subito un cambiamento piuttosto importante: il passaggio dalla polifonia alla monodia. Ci sono arie cantate meravigliose che si prestano ad essere reinterpretate in maniera diversa, come può essere uno standard. Non è stato un percorso semplice, prima di entrare in studio, ho voluto studiare quel periodo in maniera approfondita. Dal punto di vista storico e sociale è stato un secolo rivoluzionario. E poi ovviamente la musica: dal metafisico si ritorna all’uomo e quindi si parla di passioni, sentimenti».

Cosi dal nuovo disco della Montellanico riaffiorano alcuni immortali componimenti degli autori più rappresentativi di quella epoca: F.Handel, A.Scarlatti, A. Caldara, M.A. Cesti, G. G. Carissimi, F. Cavalli, nonché due rare compositrici, quasi clandestine: Barbara Strozzi e Francesca Caccini. Il tutto calato in un’ambientazione jazz che aggiunge alle nove composizione scelte un’aura di contemporaneità, senza mai snaturarne lo spirito originario. Forte delle precedenti sperimentazioni, Ada si affida agli arrangiamenti a Giovanni Falzone, musicista capace di trasformare un progetto complesso ed ambizioso in una narrazione agile e fruibile, agevolata da un affiatato ensemble di musicisti che da tempo collabora con la cantante, a partire dal riuscitissimo «Abbey’s road», tributo ad Abbey Lincoln: Filippo Vignato al trombone, Jacopo Ferrazza al contrabbasso ed Ermanno Baron alla batteria. La scelta di una formazione pianoless apre un percorso canoro ed interpretativo più libero consentendo alla voce di muoversi senza limiti spaziali e costrizioni armoniche eccessivamente vincolanti. «Sono molto orgogliosa del gruppo e di questa mia idea di caratterizzarlo tra fiati e voce». – Dice la Montellanico – «Un esperimento, un’idea di suono che sentivo fortemente per questo progetto. Non volevo trasporre il barocco in chiave jazz e introdurre un pianoforte mi avrebbe portato necessariamente da un’altra parte, mi avrebbe costretto a una comparazione che potesse essere anche non filologicamente giusta. Ho dato delle indicazioni chiare a Giovanni: io amo la melodia perché la ritengo l’elemento portante di un brano. E poi mi piace lavorare sulle armonie, sulla ritmica.

Forte di un passato che la lega per motivi di studio sia alla musica colta che alla tradizione popolare, Ada riesce a penetrare con disinvoltura testi decisamente aulici e liriche che trattano di tormenti amorosi, nonostante l’elemento ritmico tipico dell’orchestrazione jazzistica fa emergere una fisicità predominante di tipo audiotattile, dove la musica scandisce il tempo dei fonemi e le parole diventano un tutt’uno con il costrutto sonoro. L’iniziale «O Cessate di Piagarmi» dilatato da «Luci Ingrate» di Giovanni Falzone, trasporta immediatamente l’ascoltatore in una dimensione swingin’ con accentazioni gospel, dove il call-and-response si sostanzia negli scambi tra la voce e il trombone di Vignato, che si dividono il compito della narrazione in prima linea. La title-track, «Canto Proibito», un originale a firma Falzone e Montellanico», assume a tratti le sembianze di un costrutto mingusiano con un finale che ricorda certe atmosfere popolari del Sud Italia. Se per un attimo ci allontaniamo dal motivo ispiratore – che potrebbe essere condizionante – l’album della Montellanico è musicalmente un lavoro di alta sartoria jazzistica sia negli arrangiamenti che nelle regole d’ingaggio. Non a caso brani come «Che si può fare?» e «Delizie contente», pur nella loro diversità tematica, ci ricordano che in ogni angolo del mondo ci sia un un anima blues su cui implementare sistemi accordali e canori tipicamente jazz. «Piangerò la sorte mia» e «Vittoria, Vittoria!», pur risentendo di un’impostazione a tratti più classicheggiante, ritrovano presto un’atmosfera da marching band, unendo umori antichi ed istanze moderne in un trama sonora fatta di cromatismi mutevoli. « Intorno all’idol mio», il componimento più breve dell’album, diventa una piccola camera di decompressione fitta di contrafforti melodici e di atavici sentori, a cui la retroguardia non fa mancare una cadenza ritmica vagamente blues. «Sebben, crudele», legata a «Desir», evidenzia il nucleo vitale del concept che tenta, costantemente, di gettare un ponte tra universi sonori distanti solo all’apparenza, ma conciliati dall’ottimo lavorio vocal-strumentale. In chiusura, «Già il sole dal Gange» riconferma l’abilità dell’ensemble di coniugare moduli espressivi differenti, a volte separati da secoli di storia. «Canto Proibito» di Ada Montellanico, edito dalla Giotto Music, è un’opera che travalica la dimensione del mero esercizio di trasduzione della «qualunque» in jazz come linguaggio adattivo, modaiolo o per tutte le stagione. In tale circostanza, cultura, ricerca, sperimentazione, jazz, musica colta, abilità interpretativa ed esecutiva si fondono perfettamente. A suggello, le parole della cantante romana appaiono alquanto esaustive: «Siamo tutti finiti in una bolla chiamata realtà virtuale e i social. Siamo in questa sorta di piazza virtuale, dove ci sembra di intervenire ma in realtà si predica nel buio e si perde il senso della realtà. Ci hanno tolto quella che potrei definire come la ’vitalità del protestare’. Ecco, io penso che la funzione di noi artisti sia quella di stimolare la gente. Io credo molto in una ribellione sana che porti veramente a una trasformazione, che non si limiti a uno sfogo ma costruisca qualcosa di solido, vero».

Canto Proibito Quintetto