… il costrutto diventa l’epitome del «festival dei due mondi sonori», tra ritmi e melodie antiche e moderne, in cui lo spirito garibaldino viene locupletato attraverso una scelta armonica non irreggimentata ed imbrigliata…
// di Francesco Cataldo Verrina //
Se Garibaldi fosse vissuto nella seconda metà del ‘900, la sua immagine avrebbe campeggiato sulle T-Shirt come quella di Ernesto Che Guevara. Il suo mito di eroe e di leggendario difensore del bene e delle cause degli ultimi si è disperso troppo presto tra i meandri della burocrazia scolastica, tra la noia e la ripetitività di taluni programmi di storia e l’aulica cattedraticità degli insegnanti stessi che non l’hanno mai saputo avvicinare troppo ai giovani. Affidiamo alla musica, dunque, la riscoperta del «Giuseppe» nazionale, a cui sono state dedicate tante vie e troppe statue che restano degli inutili arredi urbani, specie nell’Italia del Sud, dove gli si rimprovera il fatto di essersi venduto ai Piemontesi, che non erano poi così dissimili dai Borboni. La lettura che ne fa Enzo Favata in «Os Caminhos De Garibaldi», edito dalla Caligola Records, offre una dimensione ed una chiave interpretativa differente, perfino più avvincente dei tanti film e sceneggiati televisivi proposti sull’avventurosa vita dell’eroe risorgimentale italiano per antonomasia, senza tralasciare il fatto che il Generale sia un eroe conosciuto e celebrato anche dall’altra parte dell’Oceano. Nel CD è presente un elegante booklet con i testi tratti dalle «Memorie di Garibaldi», scelti e adattati da Enedina Sanna. Ovviamente, il Garibaldi di Favata travalica l’inamidata estetica ottocentesca e taluni rituali retorico-patriottici, mentre il sassofonista sardo evita accuratamente di impantanarsi nelle sabbie mobile di un’idolatria scontata e di una riproposizione didascalica e manieristica dell’eroe dei due emisferi. Per contro il costrutto diventa l’epitome del «festival dei due mondi sonori», tra ritmi e melodie antiche e moderne, in cui lo spirito garibaldino viene locupletato attraverso una scelta armonica non irreggimentata ed imbrigliata, dove a tratti emerge lo spirito ornettiano. Quando Favata si abbandona nelle spire del sax soprano diventa idealmente la reincarnazione di uno Steve Lacy, libero da infrastrutture, conciliato con il mondo ed affrancato dalla pressione dell’estetica monkiana.
La musica di Favata è una cuspide tra due mondi differenti: l’Europa e le Amerindie. Egli è uno sperimentatore per corredo genetico, un cercatore di perle rare, di quelli che sanno immergersi nella profondità dello scibile sonoro, frugare fra le pieghe e gli anfratti, decomporre la materia e riemergere in superficie con un concept che fa dell’originalità compositiva ed espositiva la sua carta vincente. E quando il jazz resta sullo sfondo o corre a piede libero e senza catene armoniche, perfino nel momento in cui funge da semplice intelaiatura alla narrazione, il musicista sardo riesce a mantenere costantemente un contatto idiomatico con la tradizione ed i molteplici stilemi della musica sincopata afro-americana, pur spostando il suo periscopio in direzione delle più disparate latitudini sonore, fra ambientazioni terzomondiste, avanguardia, sonorità etniche e world music, ma soprattutto intrecciando universi e situazioni ritmico-armoniche dai tratti somatici mutevoli e cangianti. Ispirato da un libro scritto in portoghese, trovato per caso da Favata durante uno dei suoi viaggi in Sud America, il progetto nasce da lontano 2010 come spettacolo multimediale in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Anche la genesi del disco appare alquanto avventurosa e garibaldina: il materiale sonoro venne fissato su nastro nel 2011 da un eccellente line-up: Enzo Favata sax tenore, soprano e clarinetto basso, Alfonso Santimone pianoforte, nonché arrangiatore e compositore insieme al sassofonista di Alghero degli inediti presenti nell’album, Flavio Davanzo tromba e flicorno, Giancarlo Schiaffini trombone, Filippo Vignati trombone, Danilo Gallo contrabbasso e UT Gandhi batteria; nel 2019 le registrazioni erano state poi finalizzate e masterizzate all’Artesuono da Stefano Amerio, mentre dovranno passare almeno altri quattro anni prima dell’immissione sul mercato. Ciononostante, il contenuto delle composizioni, proposte da Favata e soci, non ha perduto un grammo di attualità e di adamantina lucentezza creativa. La figura di Garibaldi è sempre quanto mai attuale, specie in un’epoca in cui sullo scacchiere mondiale si agitano mediocri omuncoli, microrganismi e lillipuziani della politica.
Le quattordici tracce dell’album diventano la storia in capitoli sonori della vita del condottiero, dai suoi esordi con i Cacciatori delle Alpi, alla sua chanson de geste latino-americana e l’amore per Anita, il Risorgimento italiano, i Mille, la liberazione del Sud Italia , il suo abbandono delle scene ed il ritiro a Caprera. Lo stesso Favata, precisa: «Una formazione garibaldina, sì, potremo definirla così, dove la musica si muove liberamente con il piglio dei combattenti rivoluzionari, percorrendo…la storia di un mito, un’icona della libertà, Giuseppe Garibaldi, con continui flash back e percorsi, tra temi del risorgimento, antichi motivi brasiliani ritmi candombe e marce travolgenti, dove emergono autentici gioielli tematici come il tema della ballata di Anita o un bandistico finale che intona la famosa melodia tradizionale sarda della Corsicana». In effetti, «Os Caminhos De Garibaldi» stupisce, atterrisce, abbaglia e commuove al contempo, sprigionando tutta la complessità di un modulo espressivo, spesso free form. Per contro, il parenchima sonoro si ammorbidisce e si scioglie progressivamente planando su sviluppi tematici di varia caratura ed evidenziando le affinità ideali con il senso rivoluzionario della Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e con il cromatismo surreale della Sun Ra Arkestra, legati a taluni contrafforti stilistici ispanico-tropicali. Nascono così brani come «Habanera Do Rio Grande», «Ballao» o «Boa Tarde», piuttosto che articolate orchestrazioni mingusiane ed ellingtoniane, tra umori cangianti e cambi di passo. Basta ascoltare un motivo come «Inno di Garibaldi», frantumato e ricostruito come un Lego secondo le regole d’ingaggio del jazz a volo libero, per non parlare di «Lo Stratega» che sembra fuoriuscire dalle spire di un sano ornettismo in pronta consegna. Non mancano i momenti fortemente lirici ed evocativi più legati alla tradizione sardo-mediterranea come «Milazzo», «La Corsicana Garibaldina» o «Addio Mia Bella Addio», ripresa più volte. «Os Caminhos De Garibaldi» di Enzo Favata è un concept fuori dal comune che naviga in acque internazionali battendo orgogliosamente bandiera italiana, sorretto dal mercuriale e sinergico interplay di musicisti dotati di una personalità strumentale centrifuga e tensioattiva, ma capaci di ritornare, dopo ogni escursione improvvisativa, al nucleo gravitazionale del progetto.