// di Francesco Cataldo Verrina //

Nato a Trieste nel 1959, Roberto Magris sin dai primi anni Ottanta è stato uno dei jazzisti italiani più attivi all’estero, tra i pochissimi a collaborare con i musicisti dell’Est Europa quando esisteva ancora la cosiddetta «cortina di ferro». Roberto Magris è un pianista di talento con una lunga carriera dietro le spalle costruita soprattutto in USA. Il suo nome è poco noto alle cronache italiane. Questa intervista, in cui trattiamo solo di alcune delle sue opere discografiche, potrebbe servire a farcelo conoscere meglio. Oggi Roberto, sessantacinquenne, è tornato in Europa e vive in Slovenia, che è solo un «buon ritiro» spirituale, poiché l’attività di musicista continua e, alle Idi di marzo, uscirà il suo nuovo CD.

D Una domanda a bruciapelo: chi è Roberto Magris?

R Oltre 40 anni di carriera nel jazz, e tengo a precisare una cosa, per me importante: in America ed in generale ho sempre suonato e registrato da leader, con il mio nome in cartellone e con la mia musica ed il mio programma; mi sono quasi sempre ritrovato ad essere il «band leader» e come tale ho svolto la mia attività in trio, quartetto e quintetto prevalentemente.

D Come è andata in generale la tua carriera?

R. Ho inciso molto negli USA (e prima album per la Soul Note di Bonandrini!), soprattutto a Kansas City con il mio trio di Kansas City appunto (il contrabbassista Dominique Sanders sembrerebbe aver vinto il Grammy quest’anno come best bass solo, da quel che ho visto sul web), e da non dimenticare che «ho tenuto a battesimo» nei miei dischi (quelli dedicati alla musica di Lee Morgan) i «poi diventati famosi in Europa» Logan Richardson e Hermon Mehari, per non parlare dei miei incontri con Albert «Tootie» Heath, il caro Art Davis (Dr. Art – Coltrane… Ascension, Africa Brass, Olè…) con il quale ho inciso e soprattutto suonato in trio a Los Angeles, e poi il gruppo a Los Angeles, con Idris Muhammad alla batteria.

D Parliamo subito del tuo nuovo lavoro «Love Is Passing Thru», su etichetta Jmood, che sarà ufficialmente in uscita il 1° marzo 2024.

R La registrazione è stata fatta 20 anni fa (!), con il mio quartetto italiano (l’ultima edizione). Queste registrazioni avrebbero dovuto uscire all’epoca per la Soul Note ma, dopo la sua chiusura e vendita, sono rimaste inedite nel mio cassette fino ad ora, che ho chiesto ed ottenuto di farle pubblicare dalla JMood. Purtroppo, nel frattempo, il batterista Enzo Carpentieri ci ha lasciato e questa rimane l’unica testimonianza su disco di un gruppo che nei primi anni 2000 ha girato il mondo e in Italia non è quasi mai riuscito a suonare, men che meno nei festival più noti (e non certo perché io non ci abbia provato). Quindi, è un gruppo che il mondo del jazz italiano non conosce e che ormai si è comunque perso per sempre. Tra l’altro, al contrabbasso c’era un giovane Danilo Gallo – che allora viveva a Venezia – che poi si è meritatamente affermato in Italia con i suoi progetti musicali. In realtà, questo disco non offre il programma ed il sound che all’epoca questo mio quartetto proponeva in concerto, ma è un «concept album» che mi ero sentito di provare in studio a Cavalicco (quel famoso studio, all’epoca era praticamente nuovo…) sul tema «Love», al rientro da un tour in estremo oriente, con tappa a Bali, dove Carpentieri aveva provato ed acquistato dei gamelan e delle percussioni che poi in seguito ha spesso usato ai concerti. Avevo voluto creare una session estemporanea sull’onda dell’affiatamento che avevamo raggiunto e, stante in loco un pianoforte Fazioli nuovo di pacca, mi ero lasciato andare ad una serie di momenti in piano solo. Il risultato è questo album, che è l’ultimo «italiano» prima dell’inizio del mio rapporto con la JMood negli USA.

D Che cosa ricordi dei quel quartetto?

R Quel mio quartetto era un bel gruppo di ottimi amici con il quale ricordo tanti concerti all’estero (Cina, Hong Kong, Canton, Samarcanda, Uzbekistan, Jakarta, Bali, Indonesia, Melbourne, Australia…) ma che poi, per oggettive difficoltà a trovare da suonare in Italia, da un lato, e per i miei crescenti nuovi impegni negli USA, dall’altro, ha gradualmente smesso di suonare e quindi di esistere, senza che nessuno ne avesse mai decretato la fine. Non ho dubbi che anche oggi, ci fosse ancora Enzo e ne capitasse l’occasione, ci ritroveremmo immediatamente, ma purtroppo non è più possibile. È proprio vero: tempus fugit… and «love is passing thru».

D Che mi dici dell’album «Suite» del 2019?

R «Suite!» (JMood). Nel 2019 ha concorso ai jazz Grammy Awards, venendo selezionato e passando il primo turno per la nomination. Poi, non è proseguito (ovviamente, essendo io un «outsider» italiano in un contest che per il jazz è da sempre tutto americano), ma comunque rimane la grande soddisfazione di essere riuscito ad entrare in gara (su proposta di 3 critici jazz americani) e l’album ha avuto splendide recensioni. E’ stato il primo album che ho registrato a Chicago, a cui sono poi seguiti «Shuffling Ivories» e «Duo & Trio». Con il mio caro amico sassofonista Mark Colby (amico d’infanzia di Jaco Pastorius, direttore musicale della big band di Maynard Ferguson e dei gruppi di Bob James, e poi docente ed animatore della scena jazz di Chicago per decenni, fino alla sua prematura scomparsa pochi anni fa). Il trombettista Eric Jacobson di Milwaukee è oggi una rising star sulla scena jazz americana e pure il batterista Greg Artry è first call negli USA.

D Poi nel 2020 è arrivato anche «A Step Into Light»…

R «A Step Into Light» (JMood). Era il mio trio jazz europeo, il MUH (Magris/Uhlir/Helesic), con sede a Praga (città nella quale sono da sempre – musicalmente – di casa). Questo trio ha suonato qualcosa come 150 concerti negli anni antecedenti alla pandemia (in Cechia, Slovacchia, Germania, Austria, Svizzera) ed è stato appunto il mio trio storico in Europa, con innumerevoli concerti nel corso di tutta la mia vita. Questo cd (il secondo) è uscito nel 2020 la settimana prima che «uscisse» la pandemia… e facemmo la presentazione ufficiale a Praga nella sede della Bechstein Piano (di cui io sono testimonial) al termine di un primo giro promozionale di concerti e poi, dopo qualche giorno, la fine immediata ed inaspettata. Con tutti i paesi del Centro Europa con regole diverse per l’ingresso e confini divenuti insormontabili o complicati, l’attività è stata sospesa «sine die» e poi, al rientro della «normalità» (?) da poco… ci siamo dati atto di non ripartire più con un’attività stabile ma di continuare a vederci secondo le occasioni. (I miei due partner sono a quota 75 e 77 anni e non troppo ben messi).

D. Ci sono altri due album piuttosto interessanti, ce ne vuoi parlare?

R Certo! «LIve In Miami @ the Wdna Jazz Gallery» (JMood). Nel 2017 è stato uno dei dischi dell’anno sulla rivista «Down Beat» (ricevendo 4 stelle). E’ stato il primo album che ho registrato a Miami (alla tromba c’è Brian Lynch, plurivincitore di Grammy Awards), poi a Miami sono seguiti «Sun Stone» (con Ira Sullivan) e «Match Point» (con il vibrafonista di origine cubana Alfredo Chacon). «Shuffling Ivories» (JMood). In duo assieme al mio amico contrabbassista Eric Hochberg (altra figura «chiave» della scena jazz di Chicago da vari decenni – ha inciso «con tutti…» da Von Freeman a Pharoah Sanders a Cannonball a Pat Metheny). Anche questo album ha avuto ottimo successo, navigando tra la 4 e le 5 stelle, e girando su tutte le maggiori radio jazz americane.

Grazie Roberto, alla prossima!

Roberto Magris Meer