Il live set fa emergere la naturale inclinazione del sassofonista a relazionarsi con il pubblico che, a sua volta, funge da forte induttore e alimentatore dell’energia sprigionata dai musicisti sul palco.
// di Francesco Cataldo Verrina //
I dischi di Roberto Ottaviano, sono novelle verghiane che scavano in profondità nel verismo etnologico della politematicità idiomatica di un jazz dal genoma tradizionale ma dai contrafforti internazionali e contemporanei. Il sopranista pugliese riesce, disinvoltamente, a coniugare il suo background elitario, frutto di collaborazioni planetarie ai vertici della nomenclatura post-bop, con un afflato diretto che scandaglia gli anfratti di un universo ritmico-armonico ammantato di melodie popolari, dove terre lontane e terre di confine si uniscono e si legano in un unico mandamento sonoro. La conurbazione creativa di Ottaviano nasce dalla sua innata capacità di guardare oltre l’orizzonte del visibile e del prevedibile immaginando altre strade possibili e percorribili ad ogni cambio di stagione, quasi che il suo modo di concepire, arrangiare ed eseguire la musica possegga un innato dualismo filosofico in grado di passare, indistintamente, dal noumeno al fenomeno. Sostiene Ottaviano: «L’umanità è un microcosmo nel cosmo ed agisce in modo inaspettato così come prevedibile, con dei voli pindarici di bellezza e continui tuffi negli abissi più orribili, rinnegando sé stessa e quindi trasformandosi in qualcosa di disumano». Le parole del sassofonista sono il riflesso dei un habitat sonoro, il quale fa leva su molti punti nevralgici dello scibile jazzistico che s’imbeve di tematiche attraverso l’incontro con culture e sottoculture limitrofe.
Ottaviano viaggia sugli assi cartesiani di un compost sonoro dalle molte facce, spesso asimmetrico e non circoscrivibile; così dal suo artistico peregrinare nelle capitali del jazz, tra Italia, Svezia, Slovenia, Svizzera e Finlandia, nasce il suo ultimo lavoro «People», un sincretico condensato che cattura il meglio dei suoi recenti tour europei, forte del sostegno di un solido e rodato line-up: Marco Colonna (clarinetto basso), Alexander Hawkins (piano), Giovanni Maier (contrabbasso) e Zeno De Rossi (batteria). Il live set fa emergere la naturale inclinazione del sassofonista a relazionarsi con il pubblico che, a sua volta, funge da forte induttore e alimentatore dell’energia sprigionata dai musicisti sul palco. Pur provenendo da momenti e situazioni differenti gli otto brani, di cui cinque a firma Ottaviano, sono allocati nel disco con la logica di una sequenza narrativa, tanto da renderlo simile ad un live-concept registrato nella medesima serata. Gli elementi armonici, ritmici, melodici, timbrici, esecutivi, improvvisativi sono portati ai massimi livelli e raccontano di universi molteplici, a volte remoti, ma sempre attraverso le odierne prassi esecutive. Le parole di Roberto sono alquanto esaustive: «Ho voluto raccogliere qui una serie di momenti «live» della band, poiché mi sembra il momento in cui noi tutti diamo il meglio nella combustione che si crea con il pubblico, e chiamarla People proprio nel tentativo di disegnare dei ritratti di questa umanità fatta di persone incontrate realmente e virtualmente, persone che ci hanno dato qualcosa, i loro luoghi ed i loro respiri».
L’album si apre con «At The Wheel Well» un componimento di Nikos Kypourgos tratto dal commento sonoro dal film «The Cistern» di Hristos Dimas. L’inizio per solo sax diffonde nell’aria nuances elleniche con una melodia dal sapore antico, la quale si completano, dopo i primi due minuti in solitaria, con l’apporto contrappuntistico del clarinetto basso e della retroguardia ritmica che, quasi all’unisono, sviluppa un’aura di canto politico marciante e rivendicativo. «Mong’s Speakin’» è un tributo al trombettista sudafricano Mongezi Fesa. Il tema si muove sul groove di una danza propiziatoria, dove il sax disegna una festante melodia a facile combustione, a cui fa da contrasto il pianoforte con una prolusione armonica potente e abrasiva che s’incunea nelle pieghe del flusso melodico con la complessità percussiva di Cecil Taylor, mentre il sax di Ottaviano s’invola in una spirale a schema libero, rincalzato dal ruggito del clarinetto basso. «Hariprasad» ha la costituzione sintattica di una perifrasi asimmetrica, quasi ipnotica e implementata sui contrasti tipici della musica popolare indiana, dissonante e disarmonica, in cui rivivono, idealmente, tutte le essenze del flautista Hariprasad Chaurasia, trasdotte nel serpentino dialogo tra clarinetto basso di Colonna ed soprano di Ottaviano. «Callas» è un istantanea sulla tormentata vita della divina, dove pathos, imprevedibilità e suspance si mescolano in ambientazione vagamente crepuscolare, disegnata su una tela quadricromatica dal pianoforte di Alexander Hawkins, mentre, in seconda battuta, il soprano di Ottaviano e il clarinetto di Marco Colonna diventano la traslazione strumentale della voce umana nelle sue variabili sfumature. «Niki» è veloce tributo al mito di Niki Lauda su una pista sonora che si snoda in varie direzioni. «Gare Guillemans», a firma Misha Mengelberg, ispirato all’ambiente umanamente variegato di una vecchia stazione ferroviaria Belga, si dipana surrettiziamente su un blues ammantato da un’atmosfera languida e brunita dal gusto mitteleuropeo e da una barcollante marcia tipica di New Orleans. Il finale è ironicamente cantato da un improbabile Cab Calloway con un elevato tasso alcolico nel sangue. «Ohnedaruth», che significa compassionevole è il nome sanscrito adottato da Coltrane, santo per la chiesa africana, reimmaginato attraverso una formula atipica, in cui spicca la verticalizzazione del sassofono di Ottaviano al quale fa da propulsore il clarinetto basso dell’immancabile Colonna, quasi in un’accoppiata Trane-Dolphy dei tempi d’oro. «Caminho Das Águas» è un componimento del brasiliano Rodrigo Manhero che descrive in maniera leggiadra e naturistica lo spirito dell’Amazzonia, narrata seguendo un modulo descrittivo quasi documentaristico. «People» di Roberto Ottaviano Eternal Love, pubblicato dall’etichetta Dodicilune, è un gioiello di alta oreficeria italiana, dal valore spendibile nelle transazioni della borsa mondiale del jazz.