Il substrato sonoro risulta alquanto descrittivo e possiede, insitamente, una forte componente «green».
// di Francesco Cataldo Verrina //
L’Africa è il centro propulsore del ritmo, dove ritmo significa anche melodia, armonia, sogno, sofferenza, poesia, abbandono, speranza, ricerca di una dimensione altra. L’Africa è un luogo dell’anima e della mente. L’Africa è anche il punto di confluenza di tutte le contraddizioni dell’umanità. Nel corso dei secoli, l’Occidente e l’Oriente hanno succhiato all’Africa non solo le risorse minerarie ed aurifere, ma anche il sangue degli uomini e delle donne, che tradotti come schiavi per lande del pianeta, hanno contribuito alla civiltà musicale del mondo euro-settentrionale, nord-americano e della «fottuta razza superiore». Senza la diaspora africana, oggi, non esisterebbero i generi musicali ritmici contemporanei. «Earthings», il nuovo disco di Pure Joy pubblicato dall’etichetta Abeat Records, risulta imbevuto di Africa fino al midollo, in cui Joy Grifoni, contrabbassista e cantante, si ispira alla ruggente e accecante bellezza di una natura mai doma, ma è anche un pretesto per scandagliare le numerose differenze culturali dell’universo, non solo musicale: l’Africa come inizio e fine di ogni ciclo musicale.
Il concept si erge e si sorregge su otto componimenti, ognuno dei quali ha un titolo che richiama un nozione o una parola riferibile a una delle tante lingue africane. Sono numerosi gli strumenti che arricchiscono la struttura sonora dell’album: il sax tenore e soprano, il piano, la batteria, il vibrafono, la marimba, la chitarra, la kora e le immancabili percussioni che rafforzano il legame del progetto al cordone ombelicale della Grande Madre Africa. Joy Grifoni, descrive così la sua creatura musicale: «Tutto il resto sono solo nomi portati dal vento. Siamo tutti migranti su questa terra, una terra che è un elemento di vita, di forza, di speranza. Il nostro grande viaggio continua e la nostra grande nave è una dimensione artistica in cui ci deve essere la massima accettazione del diverso, da cui possiamo imparare un importante tassello mancante». Il substrato sonoro risulta alquanto descrittivo e possiede, insitamente, una forte componente «green», dove emerge l’importanza delle stagioni, in cui ogni elemento della natura è saldamente interconnesso: gli alberi con le loro foglie e radici, gli animali nel ciclo della vita, gli uomini di ogni cultura, razza e religione, tra passato, presente e futuro.
La storia musicale di Joy Grifoni sembra un viaggio, dove tutte le tappe appaiono come i capitoli di libro. Un cammino cominciato nel 2018 con l’uscita del primo album, «Spirit Of The Wood» imperniato su un’intima ricerca creativa dedicata alla forza della natura ed ispirata alla filosofia cinese del Wu-Xing; alle soglie del 2020 prende forma il secondo lavoro «Firedance», con la collaborazione di accreditati artisti italiani, mentre il recente «Earthings», frutto di due anni di silenzio, si pregia, tra gli altri ospiti speciali, della collaborazione del sassofonista Seamus Blake (tracce 6,7,8) e di un valido line-up: Lorenzo Bisogno sax tenore e soprano, Manuel Magrini pianoforte (tracce 1,2,3,4,5), Davide Bussoleni batteria, Mattia Manzoni pianoforte (tracce 6,7,8), Marco Bianchi vibrafono, marimba, Francesco Baiguera chitarra, Pape Siriman Kanoute kora e voce, Bifalo Kabinet Kouyate djembe, kalabassa e percussioni. L’opener è affidato a «Kuumba»che in swahili significa «creatività» e apre le «danze» con una pulsazione ritmica incalzante e una melodia a presa rapida che mette subito il luce il sax tenore di Lorenzo Bisogno e il piano di Manuel Magrini, i quali si completano attraverso un ottimo interplay ed variegato gioco di assoli. «Ubuntu», che in zulu corrisponde al significato di «umanità», ha una struttura armonicamente più disinibita e indagatrice, in cui la voce Joy Grifoni si amalgama sinergicamente al sax soprano di Lorenzo Bisogno ed il vibrafono di Marco Bianchi.
«Hanyauku», ossia «camminare sulla punta dei piedi» in kwangali, si riferisce al rispetto per la terra. Il componimento è calato in un’ambientazione più intima e introspettiva, nella quale si diffondono le note dal sax tenore di Lorenzo Bisogno e dal piano di Manuel Magrini alle prese con una costrutto melodico soffuso e brunito. «Lullaby For A Child Bride» usa il più convenzionale idioma inglese per narrare la storia di una bambina costretta a sposarsi suo malgrado. Il plot sonoro si dipana come una nenia tra le spire vocali di Joy Grifoni, quasi un sussurro ricco di pathos, sostenuto dall’ottimo comping del piano e del contrabbasso. «Uwa Duniya», che indica il «mondo» in dialetto hausa, è un inno alle diversità che arricchiscono il nostro pianeta, dove una giubilante melodia ariosa e solare trova il suo nucleo vitale negli assoli di Bisogno e Magrini che sfrecciano frontali come in un senso unico alternato. «Teranga» fa riferimento al significato di «ospitalità» in wolof esprimendo l’importanza dell’accoglienza e della condivisione. Il sassofonista ospite, Seamus Blake, sviluppa il tema attraverso un call-and-response con il sax tenore di Lorenzo Bisogno, mentre Pape Siriman Kanoute aggiunge un tocco di esotismo al sincopato groove distillato dalle retrovie. «Uhuru», ossia «libertà» in swahili e kiswahili, si sostanzia attraverso un impianto modale e una melodia ascendente, dove il sax tenore di Seamus Blake e il piano di Mattia Manzoni improvvisano in maniera non convenzionale verticalizzando in progressione. «Talal», che significa «ricerca» in wolof, chiude i battenti dell’album sulla spinta di un’armonia scarna e diretta, ma penetrante e sublimata dalla complicità fra il sax tenore di Seamus Blake e il piano di Mattia Manzoni, corroborata, sul finale, da un saggio percussivo di Bifalo Kabinet Kouyate. «Earthings» di Pure Joy è un lavoro di rara bellezza, dove mondi possibili, reali ed immaginari s’incontrano.