l progetto del sassofonista-compositore dimostra in maniera lampante come i canti gregoriani, legati alla musica sacra e ad una dimensione aulica e non ludica, siano vicini alla musica sincopata di matrice afro-americana più di quanto si possa immaginare.

//di Francesco Cataldo Verrina //

Pensare ad un matrimonio tra il jazz e canti gregoriani, potrebbe, superficialmente, sembrare un volo di fantasia, specie quando i linguaggi e gli stilemi sono, ma solo in apparenza, appartenenti a differenti caste dello scibile sonoro. Quando si pensa ad un connubio tra generi provenienti da ceti artistici lontani, perfino nel tempo, dovremmo parlare di morganatico, o matrimonio della mano sinistra. Al netto delle suggestioni storico-letterarie, il morganatico era una pratica che consentiva a un cavaliere o ad un nobile appartenente a una certa classe sociale di poter impalmare una donzella di umili origini. In genere tale forma di sodalizio veniva praticata e sancita furtivamente e con i favori delle tenebre. Ciò che accade invece nel disco di Nicola Pisani, «Cantus Firmus» è tutto alla luce del sole e alimentato da una solarità espressiva ed esecutiva non comune. Il progetto del sassofonista-compositore dimostra in maniera lampante come i canti gregoriani, legati alla musica sacra e ad una dimensione aulica e non ludica, siano vicini alla musica sincopata di matrice afro-americana più di quanto si possa immaginare. Il fattore che lega i due stilemi consiste in primis nell’uso da parte del protocollo gregoriamo di un sistema accordale di tipo antico, una sorta di modale ante-litteram che si rispecchia nella componente immateriale presente specie nel post-bop modale e nel free-form, momento di massima ascendenza e trascendenza, durante il quale il vernacolo jazzistico nelle sue forme molteplici si distanza dall’immanentismo e dalla caducità del materialismo transitorio.

«Cantus Firmus», edito da Dodicilune è un progetto performativo e discografico lungimirante e strumentalmente imponente, nato nell’ambito della seconda edizione di Locum Sacrum, Festival di Jazz e Musiche Improvvisate di Spezzano della Sila in provincia di Cosenza e, a suffragio del nostro assunto iniziale, dimostra come sia ancora viva nella musica contemporanea un’ispirazione compositiva e improvvisativa legata alla spiritualità. Quasi tutti i grandi jazzisti hanno avuto un legame con elementi della trascendenza, attraverso un elemento divino, tanto che Nicola Pisani e soci traslitterano la struttura gregoriana della «Missa Paschalis», delicatamente richiamata dal Trio Vocale Aulos (Francesca Donato, Rosa D’Audino, Teresa De Luca) usandola come traccia ed indicatore di marcia per le tredici composizioni originali firmate da Francesco Caligiuri, Massimo Garritano e dallo stesso Nicola Pisani il quale, nell’esecuzione, affianca e dirige i musicisti della MAO (Mediterranean Acoustic Orchestra) con la partecipazione del clarinettista francese Louis Sclavis. Di lui Pisani dice: «Louis Sclavis, con la sua grande ispirazione artistica e umana, si è integrato subito in un collettivo che vede la musica non come esercizio di stile ma come elemento comunicante e rappresentativo di tutto ciò che ci ha formato come artisti».

Registrato il 15 Aprile 2023 al Convento San Francesco di Paola di Spezzano della Sila (CS), il costrutto sonoro mantiene un’aura claustrale e cenobitica piuttosto sacrale, ma non austera, incrociando percorsi ritmico-armonici multifonici più terreni e secolarizzati, ma legati in maniera mercuriale al substrato mistico-canoro di partenza, dove frammenti di coralità gregoriana collocati negli interstizi fungono da divisorio e da collante tra le varie partiture originali implementate sulle dinamiche jazzistiche tradizionali e contemporanee, che vanno dallo swing sinfonico alla Duke Ellington passando per il bop di Gillespie, la jazz ballad e le circonvoluzioni mingusiane, fino all’ipermodale spinto di tipo coltraniano con un piede sugli impervi territori ascensionali del free. Nel complesso l’arrangiamento evidenzia un ruolo preponderante e immediatamente riconoscibile del compositore che è difficilmente inquadrabile all’interno un perimetro delimitato dai parametri canonici dell’improvvisazione. Egli evita di imitare blande sonorità accademiche e tratta invece gli strumenti con una scrittura contenutamente aggressiva e spesso marcatamente ritmica, dove non vengono mai a mancare dinamismo e groove. Le parole di Pisani sono alquanto eloquenti: «Una definizione semplice, ma efficace, di «Cantus Firmus» la descrive come un’antica, se non la prima, prassi compositiva che ispirandosi ad una preesistente melodia gregoriana, definita appunto «cantus firmus», ne estende la rilevanza estetica attraverso uno sviluppo polifonico con la sovrapposizione all’originale di ulteriori linee melodiche. Aggiungiamo ritmo e armonia, con un pizzico di libertà creativa e improvvisativa, oltre che di follia progettuale, per giungere attraverso una iperbole storico-musicologica a quello che è il jazz».

Diretta da Nicola Pisani (sax soprano) la MAO è formata da Francesco Caligiuri (sax baritono), Massimo Garritano (chitarra electrica/acustica, electronics), Piero Gallina (violino), Alberto La Neve (sax tenore), Luigi Paese (tromba, flicorno), Giuseppe Oliveto (trombone), Mario Gallo (tuba), Checco Pallone (tamburi a cornice), Carlo Cimino (contrabbasso), Francesco Montebello (batteria percussioni). Un ensemble di musicisti che riescono a cogliere lo spirito duale dell’impresa, perché è di un’audace impresa musicale che parliamo, dove fra terreno e serafico si sviluppano ventitré moduli espressivi che simulano un ponte tra sacro e profano, i cui titoli richiamano i precetti religiosi conventuali, i tormenti dell’anima e le contraddizioni umane della vita terrena e del quotidiano, specie quando l’impianto sembra a voler trovare un contatto con la contemporaneità, e la trova costantemente senza snaturare un’ispirazione antica dal mood celestiale e quel senso di holy joy costante che pervade tutta l’opera, così descritta da Nicola Pisani: «Un progetto spiritualmente denso e magico, dove si intrecciano sonorità apparentemente diverse ma con radici comuni sia culturali che procedurali. Il jazz si nutre di sé stesso e di tutto ciò che lo circonda garantendo la sua stessa sopravvivenza ed evoluzione futura. Il jazz è morto, viva il jazz con un sentito grazie a tutti i musicisti della Mediterranean Acoustic Orchestra e a tutti coloro che ci aiutano nel mantenerla viva».

Nicola Pisani