// di Francesco Cataldo Verrina //

Il costrutto sonoro viene talvolta forgiato con le armi della cultura africano-americana nella fucina dell’hard-bop, sia pure con più moderni intendimenti, il tutto laminato attraverso un’improvvisazione intelligente e mai dispersiva, virtuosistica e fine a sé stessa. Ma è soprattutto la coibentazione melodica e la facile cantabilità dei componimenti di Ciancaglini a dare quella spinta in più verso un’immediata empatia con il fruitore medio.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Non me ne voglia Pietro Ciancaglini se dico che i bassisti sono gatti, vagamente sornioni, per tanto animali il cui sangue ha bisogno di più tempo per scaldarsi, ma capaci di esporsi, sempre per metafora, ad alte temperature sia a livello emotivo che creativo. Il basso non prende fuoco subito come gli ottoni o le ance. Perfino quando non è un semplice strumento di retroguardia atto al comping, esso sembra scaldarsi progressivamente. Il basso è uno dispenser sonoro di tipo felino, ha un movimento felpato e vibrante che sembra provenire sempre da lontano, soprattutto il basso cammina venendoti incontro. L’abbandono, sia pur momentaneo, del contrabbasso a favore di un basso elettrico potrebbe significare per un jazzista la ricerca di un «alterità» e di una «libertà» espressiva al contempo: il passaggio dall’uno all’altro strumento non è solo di tipo sonoro, ritmico e timbrico, ma costituisce anche in un cambiamento fisico: mutano sia l’approccio che la prossemica, ma soprattutto ne scaturisce un biodiversità creativa, specie quando il basso elettrico, nelle mani di Ciancaglini diventa un perfetto strumento di prima linea, ricco di cromatismi melodici e sfumature armoniche, tanto da fare invidia ad una chitarra.

Il nuovo lavoro di Pietro Ciancaglini, edito dalla Gle.AM Records, ha un titolo al quanto suggestivo, «Consecutio», che descrive alla perfezione la conseguenzialità di quanto accade in un contesto jazzistico, dove l’interplay fra i singoli musicisti è regolato da una serie di eventi di tipo causa/effetto, ma se volessimo estendere la narrazione al concetto di consecutio temporum, ci accorgeremmo che, finanche all’interno della sintassi musicale, la concordanza dei tempi è fondamentale, soprattutto la compliance tra tecnica ed emozioni, tra cuore e cervello, tra ratio ed istinto, come accade nel disco di Ciancaglini, risulta propedeutica allo sviluppo emotivo e narrativo del progetto. Per intenderci le undici composizioni proposte dal bassista all’interno di «Consecutio», come in una sorta di consecutio temporum, appaiono legate alla proposizione principale, ossia all’idea di partenza, da un rapporto di contemporaneità, anteriorità o posteriorità, muovendosi sull’asse cartesiano di un concetto di jazz ampio e dilatato, il quale non sembra avere confini spazio-temporali o vincoli territoriali ben precisi. Le parole dello stesso Ciancaglini ci vengono certamente in aiuto: «Questo lavoro è il viaggio che attraversa una parte di vita di un artista e che racchiude tutte le sue esperienze vissute nella sua durata; un passaggio obbligato per l’evoluzione interiore che non ha mai fine. Ogni brano nasce dall’anima, emerge da un luogo nascosto in cui giaceva e affiora spontaneamente senza un particolare sforzo; ha un significato che non è completamente esprimibile a livello razionale, poiché è costituito in essenza da suono e il Suono è Verità che tocca direttamente il Cuore».

Pietro Ciancaglini calca le assi dei palcoscenici da circa una ventina d’anni, un lunga militanza che rappresenta una crescita ed un’evoluzione progressiva, frutto di un profondo lavoro di ricerca del proprio IO-Creativo in relazione all’uso dello strumento e relativi effetti collaterali prodotti sul mondo circostante, un fase costantemente erigenda che oggi culmina con «Consecutio». Già qualche avvisaglia del mutais mutandis era emersa con il precedente album «Second Phase», che rimane però più introspettivo e sommerso, a differenza di «Consecutio» dove tutto sembra esposto ad una perfetta luce sotto il sole della maturità, mentre il bassista guarda l’universo jazzistico da una differente prospettiva. Nell’atto compositivo le regole d’ingaggio usate da Ciancaglini son quelle di sempre, ma forti di una maggiore consapevolezza. È proprio la title-track «Consecutio» a dare questa sensazione di evoluzione interiore, umana ed artistica, con il suo procedere spaziato e sospeso, dove il basso si esprime attraverso una cantabilità immediata, quasi volesse comunicare al mondo intero la scoperta di un nuovo Eldorado creativo. Diversamente, la nostalgia prende il sopravvento in «7.45 AM», in cui riaffiora il ricordo della madre, mentre il costrutto melodico si dipana attraverso una dimensione quasi retrò, magnificata dai vocalizzai di Chiara Orlando. Per contro «Free Frigio» sviluppa una situazione asimmetrica quasi priva di contorni spazio temporali. «Shades of East» punta il naso verso il sollevante, guardando all’Oriente e alle sue molteplici sfaccettature filosofiche ed artistiche, quale nutrimento dell’anima e stimolo alla composizione. «Two Wings» emana una benefica saudade, distesa su un ritmo di bossa, lento e cadenzato, tra le cui spire s’insinua ancora la voce della Orlando.

Per tanto, il costrutto sonoro viene talvolta forgiato con le armi della cultura africano-americana nella fucina dell’hard-bop, sia pure con più moderni intendimenti, il tutto laminato attraverso un’improvvisazione intelligente e mai dispersiva, virtuosistica e fine a sé stessa. Ma è soprattutto la coibentazione melodica e la facile cantabilità dei componimenti di Ciancaglini a dare quella spinta in più verso un’immediata empatia con il fruitore medio. Non ultima la capacità del bassista di giocare su due fronti: prima e seconda linea, nella duplice veste di solista e di accompagnatore. In alcune tracce egli suona anche le tastiere e, di tanto in tanto, riacciuffa il contrabbasso. «Big Souls» è uno dei momenti più complessi di ricerca dell’album e lascia trasparire una divorante ansia di cambiamento. «Umore Dominante» è un’interazione circolare senza particolari paletti e intervallata da salti umorali, sintomo di una ritrovata voglia di libertà costruttiva. «Deep», scava negli abissi dell’anima, attraverso un perfetto afflato tra voce e basso. «Things That Change», ammantata da un’aura latina, srotola un consistente tappeto ritmico al lime dei Caraibi, sul quale si depositano tante gocce di melodia, come miele in un alveare. In chiusura, l’emozione corre sul filo con « Unspoken Words», che con la sua ambientazione «valzerata», distilla un movimento rotatorio ed avvolgente, mentre all’attributo del basso in prima fila da un decisivo contributo l’ugola di Chiara.

La nuova allure compositiva del musicista romano, determinata anche dall’uso del basso elettrico viene declinata in maniera più fluida grazie all’apporto di Pietro Lussu, piano e Fender Rhodes; Armando Sciommeri, polimorfico batterista e di Chiara Orlando, che, come nella migliore tradizione jazzistica, utilizzata il proprio corredo vocale alla medesima stregua una vera risorsa strumentale. Questo è il parere dello stesso Ciancaglini: «Le parole sono in essenza suono e rappresentano al meglio solamente l’aspetto razionale di un’idea. Solamente il suono e la concatenazione dei suoni, con le differenti sfumature timbriche, di altezze e intensità, possono suscitare nell’ascoltatore immagini che scaturiscono direttamente dalla sfera più profonda e subcosciente evocando ricordi ed emozioni forti; il suono esiste prima della parola».