Il Paha Sapa Ensemble guidato da Tononi marca un vasto excursus tematico fertilizzato da varie fonti jazzistiche confluenti, dove groove e melodia costituiscono traiettorie sonore in grado di descrivere i vari momenti del racconto sonoro, accentuandone ora il pathos, ora la tensione, ora i momenti topici.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Quella che viene definita Epopea Western, traslata attraverso la cinematografia, ha sempre offerto una visione distorta, spesso di parte, sicuramente edulcorata e purgata di taluni «personaggi», sovente indicati come «primitivi» o «selvaggi», ma che in realtà erano dei rivoluzionari ante-litteram, intenti a difendere le loro terre, il desiderio di vivere in armonia con la natura, le loro donne, i figli ed i loro spazi vitali. Nondimeno la cultura eurocentrica, vittima e succuba dell’imperialismo a stelle e strisce (complici le varie congregazioni catto-cristiane, indifferenti nei confronti di tutto ciò che non fosse catechizzato) ha sempre steso un velo di omertà su quello che rimane il più grande olocausto della storia dell’umanità: lo sterminio sistematico dei nativi americani, umiliati, massacrati e spogliati della loro dignità, asserviti alla cultura dominante dei bianchi e costretti a vivere in povertà all’interno di aree circoscritte denominate riserve. In «Winter Counts (We ‘ll Still Be Here!)», doppio album in CD, edito dell’etichetta torinese Felmay Records, Tiziano Tononi si mostra, metaforicamente, sul «piede di guerra», dissotterrando il suo tomahawk al fine di ingaggiare un duello con talune reticenze culturali e riportare alla luce un problema mai del tutto risolto: l’annientamento degli indiani d’America.

Tiziano Tononi può essere considerato uno dei pochi artefici del «jazz pensante», dove la musica riesce a veicolare un impetuoso torrente di idee amalgamato in un tutt’uno con il flusso sonoro, il quale procede con veemenza tra incroci ed attraversamenti politematici in una dimensione multi-culturale. Soprattutto non mancano i rimandi alla problematiche di coloro che una certa storiografia ha sempre bistrattato, nonché le imprevedibili deviazioni di un percorso guidato da un retropensiero il quale diventa uno strumento ed un valore aggiunto all’ensemble. La storia di quei popoli e di quelle «nazioni», rappresentate da nomi, che per anni hanno infiammato al fantasia di molti lettori di fumetti, nelle partiture del batterista-compositore milanese assumono i tratti somatici di un realtà cruda e spietata, perdendo la carica mitopoietica, talvolta caricaturale imposta dalla cultura dominante dei «visi pallidi». Non a Caso Tononi ha voluto arricchire il costrutto sonoro utilizzando alcuni florilegi letterari, brevi ma fortemente significativi, tratti dalle opere di tre scrittori americani come James Grady («I sei giorni del Condor»), William Ferris («Blues From The Delta») e David Fulmer, autore di un epico documentario su Blind Willie McTell, nonché di un sostanzioso contributo di Seba Pezzani, musicista, giornalista e traduttore di alcuni tra i più accreditati autori statunitensi contemporanei. Dietro l’impulso storico-lettetterario del batterista si cela un fertile retroterra musicale, in cui è facile rinvenire tracce dell’Art Ensemble of Chicago, Jimi Hendrix, Ornette Coleman, Frank Zappa, Don Cherry, Rahsaan Roland Kirk e Sun Ra, specie in quell’aderenza ad una sorta di africanismo e terzomondismo tout-court che intercetta simboli policromatici ed elementi poliritmici provenienti da ogni angolo del Sud del Mondo.

Tutti i musicisti coinvolti nel progetto, che si sostanzia come un vero album concept dalla lunga gestazione, hanno condiviso con Tononi la medesima visione di un «mondo altro», dove i selvaggi, i cattivi, gli ultimi della lista (così dipinti per lungo tempo) ritrovano una loro dignità di pensiero, attraverso la rinascita di una differente coscienza di sé e della propria identità Nativa e culturale, da preservare e valorizzare, la quale reca messaggi attualissimi come l’essere stati da sempre i custodi della Madre Terra, «Unci Maka» per i Lakota. In una rappresentazione d’insieme risultano dunque determinanti la voce di Marta Raviglia, il violino di Emanuele Parrini, le ance di Piero Bittolo Bon, Giulio Visibelli e Beppe Scardino, la tromba di Gabriele Cancelli, le tastiere di Luca Gusella e di PeeWee Durante e le corde di Domenico Caliri, Bobby Lee Rodgers, Roberto Frassini-Moneta e Joe Fonda, mentre il kit percussivo del «capo-guerriero» segna il terreno da battere, scova le tracce, indica al convoglio la direzione da seguire, soprattutto rende merito ai sodali: «E’ stato un lungo lavoro di gestazione, di riflessione profonda e di confronto con i lavori precedenti, con i quali, anche idealmente, si possono individuare elementi di continuità, riconoscibili sia a livello della «narrazione» in musica, che per il messaggio che questa musica porta con sé (…) risulta assolutamente essenziale l’apporto di uno straordinario gruppo di lavoro, con cui ho condiviso visione e sentimenti/messaggi che questa musica vuole veicolare». Parliamo di un lavoro quasi epico, imponente, spalmato due CD che, in un paese meno provinciale e con i neuroni poco ingabbiati nella banalità da prime-time TV come il nostro, sarebbe già assurto agli onori della cronaca nazionale, sviluppando un dibattito sull’argomento tra intellettuali, critici, studiosi ed appassionati a vario titolo. Dal punto di vista della struttura narrativa, il parenchima ritmico-armonico ricorda molto quello di un collettivo, simile ai citati Art Ensemble Of Chicago, la Sun Ra Arkestra, piuttosto che la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, dove le strutture accordali di tipo blues si sciolgono e si dilatano in un’improvvisazione free form espansa e sottesa da un substrato ritmico. Il Paha Sapa Ensemble guidato da Tononi marca un vasto excursus tematico fertilizzato da varie fonti jazzistiche confluenti, dove groove e melodia costituiscono traiettorie sonore in grado di descrivere i vari momenti del racconto sonoro, accentuandone ora il pathos, ora la tensione, ora i momenti topici. Tutte le composizioni dell’album sono farina del sacco di Tononi ad accezione di «Spread Hollivered/Deliverance», scritta da Alan Stivell; alcune di esse raggiungono i quindici minuti di durata, divenendo delle vere proprie odissee in cui i vari membri del collettivo hanno l’opportunità di esprimersi, liberandosi dalla claustrofobia di tempi troppo contingentati. Ogni brano, come il capitolo di romanzo, ha una motivazione ed un legame ideale con l’intero plot narrativo, che nasce dall’assunto: «In The Name of The Ancestors And Of Those Who Rebelled Against The Genocide» (Nel nome degli antenati e di coloro che si sono ribellati al genocidio) Il Doppio CD contiene un prezioso booklet con tutte le note esplicative e le informazioni sul progetto. A conti fatti, «Winter Counts (We ‘ll Still Be Here!)» di Tiziano Tononi & Paha Sapa Ensemble, pur non essendo di facile metabolizzazione per I neofiti, non perde mai il contatto con la metrica, la razionalità e l’intellegibilità melodica; ad ogni modo si candida ad essere uno dei dischi di jazz contemporaneo più visionari e lungimiranti ma, al contempo, più interessanti ed originali del 2023.

Paha Sapa Ensemble