Un trio per vibrafono non è mai un urlo di guerra. Se la musica è carezza in un pugno, «Introducing Vitantonio Gasparro» vi invita a porgere anche l’altra guancia.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il vibrafono è un lieve battito di ciglia, un soffio di vento che s’insinua tra le fronde degli alberi, il vibrafono è pioggia liquida, le cui note tintinnano come gocce che si abbattono sui vetri, per poi scivolare verso il basso in maniera furtiva. Nel vibrafono c’è qualcosa di felpato, felino e «femmineo». Non è facile la posizione del musicista che sceglie il metallofono come strumento d’elezione. Nel rumoroso e «mascolino» mondo del jazz, deve superare ardue prove, diffidenza e difficoltà non dissimili a quella di una donna che decide di scrivere novelle e romanzi. Una vexata qaestio sollevata tanti anni addietro da Virginia Woolf, in «Una stanza tutta per sé». Il vibrafonista, alla medesima stregua della donna scrittrice, deve trovare un habitat ad hoc, una dimensione quasi circoscritta, e per metafora, una «stanza tutta sua» in cui esprimersi rivolgendosi ad pubblico attento e silenzioso, in grado di seguirne il filo narrativo, coglierne i dettagli e le sfumature.
Scendendo su un terreno più prosaico e precipuamente jazzistico, la mente corre veloce ad alcuni paradigmatici vibrafonisti del passato: la conta è facile, poiché in numero è alquanto ridotto ed i nomi in primo piano sono sempre gli stessi. L’abilità di Vitantonio Gasparro consiste nella sua capacità di sapersi divincolarsi evitando le mine anti-uomo in cui s’incorre quando si guarda eccessivamente nello specchietto retrovisore. Non è detto che il giovane vibrafonista abbia cercato di trovare definitivamente «Una stanza tutta per sé», ma sicuramente egli tenta un percorso alternativo a quelli che potrebbero essere taluni moduli jazzistici eccessivamente irregimentati nel passato o nell’ambito del prevedibile o del manieristico: due standard riferibili alla tradizione come «Naight And Day» di Cole Porter, che chiunque ha interpretato a modo suo (da Frank Sinatra agli U2) e «Darn That Dream» di Jimmy Van Heusen bastano a Vitantonio Gasparro per certificare l’esistenza di un legame con la tradizione, per il resto è tutta farina del suo sacco. Le sei composizioni originali, pur calate in flusso jazzistico, i cui argini sono ben presenziati da una valida retroguardia ritmica, sondano altri terreni, a tratti sfuggenti, seguendo le coordinate di un pensiero laterale che oltrepassa i canoni dell’estetica fedele all’ortodossia jazz. Le soluzioni narrative proposte da Gasparro, affiancato da Giuseppe Venezia al contrabbasso e Giovanni Scasciamacchia alla batteria, sembrano guardare in molte direzioni, anche se i due sodali, musicisti di pluriennale esperienza e dal tocco inconfondibile, per quanto permeabili, sembrano proporre un mood vincolato al canone jazzistico: si potrebbe parlare di arte dei contrappesi. «Groove It In Yor Bag» costituisce il punto di uscita e di entrata dell’equilibrio del trio. «Pigro», che a dispetto del titolo si mostra piuttosto vitale ed energica, vaga e divaga su ambientazione quasi funkified. A conti fatti, però, «Introducing Vitantonio Gasparro» è un disco jazz basato su un moderno post-bob evolutivo, che intercetta stimoli e correnti provenienti dal mondo circostante, perfettamente calato nell’era del Web 4.0 e del metaverso, dove tutto appare impalpabile e frammentario. L’opener «Interferenze», con il vibrafono in solitaria, con le sue traiettorie sospese e certi «mallettamenti» dinoccolati e pieni di cambi di umore, sembrerebbe descrivere proprio questo scenario.
Il giovane vibrafonista fa di necessità virtù e riesce a trovare un delicato punto di pareggio, tra passato, presente e futuro, per quanto il suo album mostri i difetti caratteriali dell’opera prima (non è una deminutio capitis): ad esempio il desiderio di misurarsi con gli standard, cosa che andrebbe assolutamente evitata, poiché insieme alla ricchezza di sfumature o di fughe aumenta il virtuosismo ma fa perdere la compattezza stilistica e l’idea dell’album concept. Gasparro non ha certamente trovato ancora «Una stanza tutta per sé», ma c’è andato vicino, tanto che a suo favore depongono la spontaneità, l’esuberanza giovanile, il coraggio delle scelte creative ed un forma mentis erigenda, ancora in via di sviluppo. «Without A Sun» e «Nobody’s Lullaby», per solo vibrafono, sono momenti d’intenso lirismo, bruniti ed emotivamente coinvolgenti, mentre «Dancing Wanderers», dal sapore valzeristico, riporta in auge l’humus classicheggiante di un balletto sulle punte. Il costrutto melodico-armonico delle composizioni è di pregevole fattura, facendo emergere un evidente carattere autorale a livello tematico-costruttivo e una tempra di musicista convincente sul piano dell’esecuzione strumentale. Tra i contrassegni salienti dell’album, per l’ottima tenuta melodica e per l’incisività costruttiva che la rende immediatamente fruibile, va segnalato certamente «Rob’s Trouble», componimento imperniato sull’idea un mid-range quartale (di cui esiste anche una take alternativa). Un trio per vibrafono non è mai un urlo di guerra ma un afflato benefico che avvolge con grazia l’ascoltatore. Se la musica è carezza in un pugno, «Introducing Vitantonio Gasparro» vi invita a porgere anche l’altra guancia.