…la dimostrazione lampante di un jazz senza frontiera che abbatte, non pochi luoghi comuni e tutti i limiti culturali e territoriali.

// di Francesco Cataldo Verrina //

La fiorente scena jazzistica dell’Est Europeo continua a riservare agli appassionati di jazz gradite sorprese. Il merito va anche ad un’ etichetta indipendente, come la A.MA Records di Antonio Martino, che negli ultimi anni sta operando un autentico lavoro di scouting e di ricerca, facendo emergere le eccellenze di quelle terre, grazie ad una serie di musicisti che mostrano un approccio alla materia rigoroso ed impeccabile nel rispetto della tradizione, con una conoscenza appropriata dell’idioma jazzistico, ma con una lungimiranza ed una capacità di adattamento alla contemporaneità a dir poco sorprendenti. Va detto che il livello della proposta discografica è qualitativamente elevato e mai pedissequo e prevedibile. Non sfugge a tale catalogazione il recente album del bassista serbo Miloš Čolović, il quale commenta il suo arrivo nel roster dell’etichetta pugliese con queste parole: «Sono entusiasta di unirmi alla ‘’Serbian Wave’’ su A.MA Records. Sebbene questa sia la mia prima apparizione , mi sento già parte della famiglia per il fatto di aver suonato con quasi tutti i musicisti serbi che ne fanno parte, che considero i miei più cari colleghi ed amici. La maggior parte della mia band è composta da musicisti che sono già presenti su alcuni album A.MA».

Come tutti bassisti, Miloš Čolović appare molto collaborativo ed aperto a soluzioni molteplici, tanto che si propone in una dimensione duale attraverso sette brani strutturati sia per piano trio, insieme a Andreja Hristić (pianoforte) e Miloš Grbatinić (batteria) che per sestetto a tre fiati, con Radivojević (tromba), Luka Ignjatović (alto sax) e Rastko Obradović (sax tenore), spaziando dal post/hard-bop e dal boogaloo al contemporary jazz. Un operazione che lo stesso bassista commenta così: «Il risultato è un repertorio stilisticamente molto vario. Sebbene il sestetto sia una band piuttosto giovane, tutti noi abbiamo suonato innumerevoli volte insieme in formazioni diverse e penso che il forte legame sia evidente. Il mio obiettivo è suonare il più possibile con questa band e sviluppare il nostro sound attraverso concerti e registrazioni future». A livello compositivo, per il pino trio, i riferimenti dichiarati conducono a Cedar Walton, Horace Silver, Bobby Timmons e Sonny Clark, mentre con una sezione fiati il fil rouge ispirato parte principalmente dal post bop anni ’60 di Wayne Shorter, Jackie McLean e Andrew Hill. Non mancano comunque le suggestioni di tipo cinematografico legate alla musica dei film di Basil Poledouris, Carter Burwell.

L’opener «Cimmeria» prende il nome dalla patria di Conan il Barbaro. La musica è ispirata alla colonna sonora di Basil Poledouris e da Jackie McLean. «Il mio obiettivo – dice Miloš Čolović – era quello di portare la musica da film e temi fantasy epici in un’ambientazione post-bop». L’inizio del brano in crescendo richiama la musica dei titoli di testa di un filmi d’avventura, fino a quando i fiati non esplodono in una digressione abrasiva e trasversale, sino all’assolo di basso che porta il costrutto sonoro in una dimensione più esplorativa ed avventurosa, quasi free form. «Losing Count» è un valido e circolare esempio di piano trio di evansiana memoria, steso su un valzer brunito e sotterraneo, in cui basso e batteria s’innestano nelle armonie del pianoforte, facendo da suggeritori piuttosto che da semplici accompagnatori. «Monsieur De Bordeaux» ricorda vagamente certi boogaloo alla Lee Morgan e taluni costrutti dei Messengers, sia pure con un piglio più innovativo ed asimmetrico. «Il titolo è pensato per essere letto come se fosse scritto in serbo anziché in francese. – Precisa il bassista leader – È dedicato a tutti i miei amici di Belgrado, in particolare quelli del quartiere». A questo punto si cambia ancora registro, così «Shapeshifter « diventa un vivace affresco in piano trio che evidenzia le capacità del bassista sia come compositore che come aggregante dell’insieme, attraverso un metodo che riproduce la sintassi classica del tridente, ma senza eccessi scolastici o evocativi. In «Solitude», come dichiara Čolović «faccio del mio meglio per rendere omaggio ad alcuni dei miei tanti eroi del basso. In particolare, il modo in cui Oscar Pettiford suonava le ballate». In tale circostanza il basso introduce e condivide la narrazione con il pianoforte, attraverso un calibrato senso dell’orientamento melodico. «The Dreadful Moths», impiantato su una vecchia melodia, è un hard-bop post moderno che evidenzia a rotazione le peculiarità dei singoli musicisti, i quali finiscono sistematicamente per confluire al nucleo centrale della cellula creativa. In chiusura «To The Beat Of My Footsteps» una composizione bilocata, ispirata, in prima istanza, alle intelaiature sonore di Paul Motian, intrise di malinconia e di un senso di solitudine metropolitano, mentre nella seconda parte si nutre delle atmosfere di «Queens Of The Stone Age», in un crescendo wagneriano dei fiati che all’unisono sembrano commentare le scene ed la suspance conclusiva di un film. «To The Beat Of My Footsteps» di Miloš Čolović è la dimostrazione lampante di un jazz senza frontiera che abbatte non pochi luoghi comuni e tutti i limiti culturali e territoriali.

Miloš Čolović
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