Lou Donaldson

Il sassofonista è deceduto nel fine settimana e la Blue Note Records ne ha confermato la scomparsa. Lou Donaldson aveva 98 anni e si è spento nella casa di famiglia a Badin, in Carolina del Nord.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Eccellente contraltista influenzato da Charlie Parker, ma dotato di un timbro distintivo ed un personalissimo stile basato sul blues, Lou Donaldson caratterizzò il sound, le sessioni ed i live-set di tanti piccoli line-up durante l’epopea bebop. Donaldson cominciò a suonare il clarinetto a 15 anni, passando presto al contralto durante gli anni dell’università e facendosi notare soprattutto dopo il trasferimento a New York avvenuto nel 1952, dove stabilì un proficuo sodalizio con la Blue Note in qualità di band-leader. Nel 1954 partecipò ad un memorabile concerto con Art Blakey, Clifford Brown, Horace Silver e Tommy Potter, evento che precedette la formazione Jazz Messengers. Tuttavia, Donaldson non fu mai membro dell’organico di Art Blakey, ma registrò come sideman al soldo di Thelonious Monk, Milt Jackson e Jimmy Smith. Nel 1958 iniziò a utilizzare spesso un percussionista e, a partire dal 1961, un organista al posto di un pianista, mentre il suo stile bluesy trovò presto un terreno fertile nel soul-jazz. Il sodalizio con Blue Note (1952-1963) fu seguito da alcune eccellenti sessioni per Cadet e Argo (1963-1966). Per un certo periodo utilizzò un sax Varitone elettronico, mentre Il successo di «Alligator Boogaloo» del 1967 lo spinse verso una serie di registrazioni funkified in voga in quel periodo. Dopo alcuni anni di assenza dalla discografia, nel 1981, il suo ritorno sulla scena e le successive produzioni soul-jazz e hard bop per Muse, Timeless e Milestone lo riportarono in auge in forma smagliante, evidenziandone la tempra di musicista decisamente senza tempo. Lo ricordiamo con il suo album più riuscito, pubblicato dalla Blue Note nel 1959

«Blues Walk» è un disco di pregevole fattura, un tassello importante, anche commercialmente parlando, del catalogo Blue Note. Di certo, nella lunga e variegata carriera dell’altoista Lou Donaldson rappresenta il climax in termini di notorietà e di affermazione, nonché il capolavoro indiscusso all’interno di una sconfinata discografia. Registrata il 28 luglio del 1958 allo studio di Rudy Van Gelder, la sessione fu sviluppata da un affiatato line-up: Lou Donaldson sassofono contralto, Herman Foster pianoforte, Peck Morrison contrabbasso, Dave Bailey batteria e Ray Barretto congas. «Blues Walk», che contiene sei brani di cui quatto a firma Donaldson, fu dato alle stampe nel gennaio del 1959, segnando il punto di svolta nella carriera del sassofonista, il quale per anni aveva subito la marcata influenza di Charlie Parker, senza riuscire a liberarsene. Non che fosse disdicevole seguire le orme di Bird, ma a volte il modo di suonare di Donaldson sembrava una sorta di inevitabile e scontata imitazione, quasi ricalcata con lo stampino. Al contrario, in questo set, l’altoista inizia a modificare in maniera decisiva la propria idea di jazz. Pur facendo uso di materiale tipicamente bebop, aggiunge alla sua vena creativa la fumosità del blues, rallentando gli impeti, ridimensionando la velocità ed arricchendo la melodia di nuovi elementi più fruibili ed immediati. I tempi del virtuosismo sfrenato e guascone, atto a dimostrare potenza, velocità e tecnica, lasciano spazio ad una sintassi sonora più ricca di elementi creativi, tanto che l’album sembra più vitale e distintivo, pur rallentando quella corsa all’assolo forsennata e competitiva dei lavori precedenti.

Il disco segna l’uscita definitiva di Donaldson dal periodo pre-soul-jazz, elevando «Blues Walk» allo status di classico. Il suo sax esprime finalmente un fraseggio ed un tono più maturo, dolce e accattivante, mentre la melodia diventa dominante in tutte e sei le tracce, facendo sembrare le sue idee più avanzate ed accessibili. La title-track, «Blues Walk», un easy-swinging dalla melodia a presa rapida, è sicuramente uno dei momenti più riusciti, insieme ad altre due composizioni originali, «Play Ray» e «Callin’ All Cats», che trasfondono sangue blues dalla stessa vena creativa. Altrove, Donaldson mostra anche gli opposti estremi del suo suono: il classico bebop up-tempo «Move» produce la più energica delle interpretazioni contenute nel disco, mentre la romantica versione di «Autumn Nocturne» sviluppa una morbida ed intrigante atmosfera nightclubbin’. L’aggiunta di Ray Barretto alle congas fu davvero un colpo di genio. Il percussionista apporta al rilassato e preciso swing della batteria, un movimento più esotico ed un flavour caraibico. «Blues Walk» è un album che non presenta alcuna difficoltà di metabolizzazione, soprattutto non richiede particolari enzimi digestivi.

Lou Donaldson