Le composizioni di Fasoli, frutto di estro e di studio, ma soprattutto di una visione angolare dell’idioma jazzistico, sono rapsodie sonore post-moderne che intercettano gli umori e i sentori dell’hic et nunc.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Claudio Fasoli è un eterno indagatore del verbo jazzistico nell’accezione più larga del termine, capace di fare i conti con un passato già consegnato agli annali, di cui non appare mai troppo appagato al punto da avvitarsi su sé stesso. Il sassofonista veneziano è incessante nella sua ricerca sonora, attraverso una lucidità giovanile e vigorosa che lo pone al di là del dato anagrafico o di un alveo creativo geo-localizzato. Pur rivedendo spesso talune delle sue partiture, passate o recenti, riadattandole alle situazioni più disparate, Fasoli difficilmente guarda nello specchietto retrovisore, elevandosi al di sopra della schiera di molti suoi coevi, distante dalla quella «anzianità virtuosa» e rassegnata, che talvolta finisce per diventare una zona comfort. L’ascolto delle sue più recenti uscite discografiche ci consegna un uomo, classe 1939, che ha attraversato numerose epoche dello scibile sonoro contemporaneo, ma costantemente proteso ad osservare il mondo con gli occhi di un bambino curioso, scevro dal mito dell’anacoreta o del «vecchio Guru» che, di tanto in tanto, appare concedendosi alla schiera dei propri adepti. Le sue composizioni, frutto di estro e di studio, ma soprattutto di una visione angolare dell’idioma jazzistico, sono moderne rapsodie sonore che intercettano gli umori e i sentori dell’hic et nunc.
Il NeXt 4et che agisce sotto la sua egida da qualche anno, ne evidenzia e ne conferma le indiscusse doti di compositore, le cui architetture sonore, avulse da ogni ostentato virtuosismo, sono lo specchio di una contemporaneità in divenire. La musica di Fasoli si dipana su arrangiamenti a maglie larghe, un impianto melodico mai ridondante e dispersivo ed un substrato ritmo-armonico malleabile e multistrato, soprattutto in grado di contenere le incursioni e di recepire le istanze dei suoi sodali in maniera sinergica e coesa, al punto che la circolarità e l’effetto del risultato finale diventi, in ultima analisi, superiore alla somma delle parti. Simone Massaron, con la sua chitarra alimentata da una dinamo che spazia in vari ambiti sonori come uno scanner alla continua ricerca di input esterni, aggiunge costantemente al costrutto sonoro di Fasoli quella componente di alterità che si spinge sovente sul crinale di una fusion moderna, con qualche virata verso il rock e una manciata di tributi da versare nelle casse di un’elettronica contenuta ma di sicuro effetto, specie sul piano ritmico e quale anello di congiunzione con il rutilare dell’attualità. Per contro, il contrabbasso di Tito Mangialajo Rantzer apporta contrasti acustici e cromatici, sulla scorta di un walking contenitivo, sia pure non ligio alle convenzioni, ma atto a preservare il convoglio dal deragliare verso situazioni eccessivamente fuorvianti o banalmente pirotecniche, così come il tributo percussivo di Stefano Grasso diventa il motore mobile ed il carburante dell’intero ingranaggio. Dal canto suo, Fasoli narra un’originale chanson de geste attraverso un’esposizione immaginifica, fatta di melodie graduali, ben accordate e mai sguaiate, sebbene tutti i passaggi al sax tenore o soprano risultino pregni di suggestioni e di intarsi emozionali. Suddetto «ingranaggio» è l’epitome di un quartetto dove tutto sembra incastrato alla perfezione e che rende giustizia alla fama del sassofonista leader. «Fasoli è uno dei più lungimiranti e perspicaci compositori in circolazione, oltre che solista dallo stile personalissimo e riconoscibile», scrivono Philippe Carles, André Clergeat e Jean-Louis Comolli nel Dizionario del Jazz.
Il termine «Hasard» in francese indica azzardo, rischio, pericolo, incertezza, possibilità, fortuna, imprevisto, destino, coincidenza, quindi potremmo dire «Hasard», nomen omen, un titolo che racchiude compiutamente il senso del disco. Basta ascoltare l’opener, «Trio», che diventa immediatamente un azzardo armonico, muovendosi con un passo dinoccolato per vie laterali ed una serie di dissonanze che aggiungono un senso di stordente esotismo. La successiva «Rit» è una ballata progressiva, locupletata da una chitarra dai cromatismi aspri e bruniti, a cui il sax di Fasoli farà presto da sponda calandosi in una dimensione più lirica ed evocativa, ma priva del classico sentimentalismo languido da balladeer post-bop. Progressivamente, il sassofono inizia ad inerpicarsi sull’asse di una verticalità quasi spirituale. «Pet», con un inizio caratterizzato da una serie di ostinati per sax, si abbandona a lungo alle cure di un groove incessante e scandito in maniera quasi metronomica, fino al ritorno in auge del sassofonista, il quale apporta la sua addizionale di asperità modali. In «Rada», il basso ad arco e la chitarra disegnano uno scenario da alba del mondo sullo scorcio un ipotetico «The Day After», mentre il soprano di Fasoli sembrerebbe descrivere il risveglio dell’umanità. «Claud», imperniata su una sequenza di basso dodecafonica, esordisce con il soprano di Fasoli che intesse una trama mineraria che ammanta un mondo quasi sotterraneo cercando di emergere lentamente come un fiume carsico dalla viscere del sistema armonico, mentre gli altri strumenti si adattato «parlando» quasi sottovoce. «KWWK» è una perifrasi dilatata ed espansiva, in cui la chitarra apporta qualche florilegio rock, senza però scadere nel citazionismo nostalgico, per contro Fasoli si erge con il suo sax su un piedistallo quasi ieratico e spirituale. L’effetto complessivo ricorda vagamente taluni intrecci tra Bill Frisell e Charles Lloyd. «Poes», componimento breve ma intenso e un piacevole interludio melodico a presa rapida. «Vigneti Improvvisi», in poco più di due minuti, descrive innumerevoli suggestioni, quasi paesaggistiche, caratterizzate da cambi di umore e colore, mentre il sax del decano appare al top della sua condizione di latore di un free form non degenerativo. Dulcis in fundo, «De Bains», ispirato all’hotel veneziano caro a Thomas Mann, rappresenta forse la melodia più classica e poetica, adattabile a molteplici situazioni letterarie o cinematografiche. In fondo, «Hasard» del NeXt 4et di Claudio Fasoli è la colonna sonora di un viver quotidiano giocato tra rischio, pericolo, incertezza, possibilità, fortuna, imprevisto, destino, coincidenza, tutti elementi che caratterizzano la musica del più grande indagatore italiano di quel jazz non vincolato alla dimensione spazio-temporale.