Mario Biondi

// di Francesco Cataldo Verrina //

L’organizzazione è fondamentale, così il «Festival Villa Solomei», iniziato il 23 giugno, si è concluso nella notte del 2 luglio all’insegna della bellezza e dell’ordine con il concerto di Mario Biondi accompagnato dalla filarmonica locale: una sinergica orchestra ricca di legni e ottoni con delle ottime guest come quella del sassofonista jazz Lorenzo Bisogno che ha ammannito il pubblico con due assoli da manuale. L’ensemble si è mostrato alquanto adattivo al repertorio del crooner siciliano ed al suo background afro-centrico che spazia fra soul, R&B, AmericanSongBook e smooth-jazz. Ma procediamo con ordine: al borgo si arriva solo in navetta, con l’eccezione dei pochi residenti che hanno libero accesso a quello che è diventata negli anni un’enclave «felice» circondata dal verde e dall’operosità imprenditoriale di un tycoon illuminato che s’ispira ai filosofi per dispensare lavoro, benessere e mecenatismo culturale. Solomeo frazione di Corciano in provincia di Perugia è diventato un case study mondiale, dove i successi economici di un’azienda leader nella trasformazione e nella confezione del cashmere si mescolano a condizioni di lavoro ottimali ed incentivate in base al merito.

L’anfiteatro, o meglio avanteatro, posizionato di fronte al Teatro Cucinelli che, al chiuso nel corso dell’inverno ospita ottime e variegate stagioni teatrali e musicali, è un’organica e razionale struttura all’aperto di circa cinquecento posti che, in estate, diventa lo scenario ideale per una manifestazione in crescendo destinata a diventare una delle più importanti dell’Umbria, se non altro per la qualità della scelta artistica e per la tipologia di eventi basata su una gratuità non caotica, ma calata in un sistema organizzativo selettivo e quasi perfetto, avulso da forme di megalomanie autocelebrative, elefantiasi mediatica o convulsioni spasmodiche da sold-out. Mentre tutt’attorno si respira un’aria rilassata e gaudente, alimentata da una sorgiva percezione olistica che fonde magnificamente arte, natura, gastronomia, musica e cultura, altre cinquecento persone circa hanno la possibilità di assistere in tempo reale agli eventi comodamente seduti e di fronte ad un mega-schermo.

Dopo le prime serate dedicate al jazz, alla lirica, al pop d’autore ed al gospel, l’arrivo a Solomeo di Mario Biondi con la sua vocalità calda, graffiante e ricca di blackness, è stato come un diamante incastonato in un diadema. Il cantautore siciliano ha mostrato di avere immediatamente piena compliance con la filarmonica di Solomeo ed una certa confidenza con i maestri e i direttori, citando e sottolineando le prodezze dei tre solisti negli assoli: sassofono tenore, tromba e clarino, citandoli per nome. Unica pecca forse il pubblico troppo rilassato o comunque ipnotizzato e risucchiato nelle spire vocali del cantante che, elegantissimo ed in splendida forma, non ha ostentato un minimo di distacco o di sussiego, intervallando le canzoni con battute, anche autoironiche, come quella della moglie che avrebbe dimenticato di mettergli la cinta nella valigia e che quindi i suoi pantaloni tendevano a scendere. Biondi ha tentato più volte di sciogliere l’algida postura della platea, dopo essere entrato in scena annunciato da un ottimo stacco di fiati di gerhwiniana memoria e alternando classici più veloci e groovin’ a momenti più lirici, intimi e profondi, a tratti struggenti, del suo suo repertorio come una toccante versione di «Alfie», successo planetario originariamente lanciato dalla cantante Cher e scritto da Burt Bacharach del 1966. La rivisitazione di Biondi, per alcuni minuti, ha creato un’atmosfera sospesa e fiabesca, complice la maliarda e naturale cornice del teatro e del borgo attraversata da una piacevole brezza rinfrescante.

Il senso di marcia s’inverte con l’arrivo di «This Is What You Are», il pezzo più celebrato del repertorio di Biondi, che lo stesso tenta, con un piccolo colpo di teatro, di introdurre come un inedito, mentre il pianista gli fa cenno di no: tutto organicamente studiato per creare una sorta di sorpresa o di gioco delle parti, ma le prime note scandite dal kit percussivo scatenano immediatamente l’approvazione del pubblico: altro che inedito, milioni di copie vendute in tutto il mondo! Il concerto, non lunghissimo, durato meno di un’ora, ha puntato molto sui contrasti e sull’alternanza di ritmo e di mood, tanto che la platea, attenta e devota ma rigida, ha iniziato a scongelarsi con l’arrivo di «Rio De Janeiro Blue», un piccolo gioiello di smooth-jazz a tinte latine e con accenni al new cool inglese degli anni Ottanta, scritto dal musicista siciliano e contenuto nell’album del suo debutto mondiale, «Handfull Of Soul», realizzato con l’High Five Quintet. La stessa canzone è tata riproposta nel bis (tris) conclusivo in una versione più scarna guidata dalla sezione ritmica e con il finale riservato alla filarmonica di Solomeo, mentre il crooner siciliano si allontanava lentamente fra due ali di pubblico. In sintesi, un bella prova d’orchestra e forse un piacevole allenamento (con le modalità della partita fra amici) per Mario Biondi prima della partenza per un lungo tour mondiale. Per il «Festival Villa Solomei», un’ennesima serata da incorniciare.