…un disco di grana pregiata, quale rappresentazione scenica del formato piano trio al top della condizione e sul continuum evolutivo della tradizione post-bop, ma con un modus operandi attuale e comunicativo.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Antonio Faraò è un pianista dal solido background, dotato di un tocco ben calibrato, padrone dell’arte contrappuntistica, forte di una reiterata e conclamata invenzione melodica e capace di affrontare i lemmi più complessi della sintassi jazzistica. Oggi Faraò approda alla prestigiosa etichetta Criss Cross con il suo sesto album in trio. Registrato negli studi Meudon di Parigi nel luglio del 2023, il pianista milanese si misura sulla distanza di otto composizioni originali e due standard, affiancato da due musicisti d’eccezione: il bassista John Patitucci e dal batterista Jeff Ballard con un quali ha condiviso uno spazio esecutivo all’insegna della piena libertà espressiva e dell’interplay dinamico. «Mi piace suonare in modo diretto, ma allo stesso tempo aperto, fuori dagli schemi», sostiene Faraò. «Suonare in questo modo mi permette di essere libero, e questa sezione ritmica sa come gestire tale dimensione. Non penso a nulla quando suono. Cerco di seguire la linea. Quando si inizia a pensare si commette un errore. Bisogna suonare in modo naturale, vivere se stessi, formare il modo. Quando compongo, di solito m’ispiro al passato, a quando ero adolescente. È raro che m’ispiri al futuro».
Il pianista agisce in modo disinvolto ed inter pares insieme ai due prestigiosi sodali, affrontando il vernacolo jazzistico delle sue principali influenze, quali Herbie Hancock, Chick Corea, McCoy Tyner, Keith Jarrett, Bill Evans e Kenny Kirkland, così come Oscar Peterson, Erroll Garner, Lennie Tristano e Martial Solal, metabolizzandone gli stili e rimodulandone le regole d’ingaggio senza eccessivi scostamenti dai paradigmi originali; approdando costantemente ad un modello espressivo del tutto personale e facilmente identificabile; rifuggendo, per contro, da ogni deviazioni manieristica e caricaturale; evitando le complicazioni strutturali abusive e eccessivamente logorroiche; cogliendo il mood del momento ed il nucleo gravitazionale dello swing in tutta la sua essenza, attraverso una mercuriale alchimia sonora fatta di complesse armonie ed accattivanti melodie a facile combustione. Dopo la morte di Corea nel 2021, il pianista milanese aveva cominciato a meditare sull’idea di «rendere omaggio ad alcuni dei musicisti più importanti della mia vita, scomparsi negli ultimi anni». Quindi aggiunge: «Ho pensato che sarebbe stato bello mettere insieme una band con Jeff e John per il loro legame con Chick». Il suo rapporto con il bassista risale ai primi anni Ottanta, prima che entrasse nella Akoustik Band di Corea. Faraò sottolinea e magnifica le virtù di John Patitucci, aggiungendo che entrambi hanno nonni calabresi. «Ha suonato per anni con un genio come Wayne Shorter, che per me è il maestro, insieme a Herbie Hancock, il quale ha portato avanti le idee di Miles Davis. Nel corso degli anni abbiamo continuato a dirci che avremmo dovuto fare qualcosa insieme, e finalmente è successo, e ne sono felice». Così quando Sipiagin, veterano della Criss Cross, ha presentato Faraò al presidente dell’etichetta Jerry Teekens, Jr, il pianista milanese ha colto al balzo l’opportunità di dare forma e sostanza ad un sogno accarezzato d anni.
La title-track, «Tributes» nasce durante le prove per un concerto al Blue Note di Milano. «L’armonia e la melodia del brano mi ricordavano Chick e ho ricevuto un buon feedback dai musicisti con cui l’ho suonata», racconta il pianista. Dopo lo zampillante assolo del leader, Patitucci si produce in un’energica e memorabile progressione. L’influenza di Corea si avverte anche in «Right On» un costrutto duale caratterizzato da una melodia a facile presa, di cui Patitucci ricama i contrafforti con arpeggi a cascata ed un walking scintillante, mentre durante il comping, il bassista italo-americano offre un’altra duttile prova di abilità. «Shock», sottolinea Faraò, «può essere più complicato rispetto agli altri brani». Il triunvirato è alle prese con un blues in minore serpentino e rapido, sul quale il pianista impone le sue linee galoppanti con accordi di quinta ben punteggiati dalla mano sinistra, guidati dal kit percussivo di Ballard e dalla sinergica cavata di Patitucci. Il trattamento di bellezza apportato ad «I Love You» di Cole Porter, a base di cosmetici swingin’, trova ispirazione in un arrangiamento che Hancock aveva realizzato, a metà degli anni Novanta, insieme a Craig Handy, Dave Holland e Gene Jackson. «È un arrangiamento facile», sostiene il pianista. «Non ho cambiato molti accordi, anche se ho inserito più battute nella struttura complessiva del brano». «Tender» è una ballata ariosa e fruibile dal tratto quasi pop. Faraò ed i suoi compagni di viaggio ne dilatano progressivamente il tempo ed il pathos fino a giungere da una dimensione in crescendo magnificata dal propulsivo groove di Ballard. «Tender» diventa propedeutica a «MT» (le iniziali sono quelle di McCoy Tyner), un costruzione ritmico-armonica sospinta dall’incisivo ed energivoro groove di Ballard che riporta alla mente Elvin Jones. «McCoy ce l’ho nel sangue», afferma Faraò. «L’anno prima che morisse, ho suonato un paio di concerti con il McCoy Tyner Project, e quest’estate suonerò alcuni concerti del progetto McCoy Legends con Steve Turre, Chico Freeman, Avery Sharpe e Ronnie Burrage».
Con «Memories of Calvi», si cambia ambientazione e mood. Ispirato al Brasile, il componimento diventa un dialogo con Michel Petrucciani. «Michel è la mia ispirazione per questo brano», afferma il pianista-leader, che si cala nella sua formazione accademica al fine di sviluppare il tema di «Syrian Children», un brano in solitaria nato dopo aver visto un documentario sulla guerra in Siria. «È una dedica solenne a tutti i bambini che soffrono nel mondo», precisa il pianista. «L’ispirazione è venuta dal quintetto di Miles Davis, con cui sono cresciuto». Per tutto l’album, l’interazione fra i tre sodali è particolarmente dinamica, soprattutto il colorato apporto ritmico di Ballard, le note calibrate e gli assoli quasi lirici di Patitucci completano magnificamente le traiettorie creative indicate dal band-leader. La performance si conclude con una riproposizione mercuriale ed assertiva di «Matrix» di Corea. «John e Jeff avevano suonato questo brano con Chick, io lo adoro e volevo eseguirlo», dice Faraò. «È un componimento complicato, ma non ho avuto dubbi a riproporlo». «Tributes» di Antonio Faraò Trio è un disco di grana pregiata, la rappresentazione scenica del formato piano trio sul continuum della tradizione ma con un modus operandi attuale e comunicativo. A suggello le parole dell’autore: «Ogni disco che ho fatto rappresenta un momento diverso della mia vita, e questo mette in luce totalmente la mia personalità attuale», conclude il pianista. «Criss Cross è un’etichetta leggendaria e spero di continuare con loro, perché il mio obiettivo è quello di crescere con una casa discografica su tutti i miei progetti».