// di Francesco Cataldo Verrina //

Charlie Parker diede un contributo totale al mondo jazz, non solo in senso artistico, esprimendo un notevole potenziale creativo, soprattutto nella misura in cui gli fu concesso di rimanere attratto, incantato ed ispirato da un’umanità violenta, ingiusta, narcisista, perversa e sorprendente al contempo e da un umanesimo chiuso in una bolla di egoismo ed irregimentato da una società plutocratica e divisoria che non consentiva alle minoranze di esprimersi, crescere ed affrancarsi, una conventio ad excludendum con le sue contraddizioni, le sue paure e i suoi eccessi. Qualunque malattia, deviazione mentale o vizio Bird possa aver avuto, era l’immagine vivente della salute ed un’esplosione di vitalità creativa, rispetto al morbo sociale del razzismo, alle disfunzioni, alle iniquità e alle discriminazioni del contesto in cui crebbe. Questa fu la condizione del jazz in generale, ossia l’essere una metafora della società e degli uomini, specie se Afro-Americani, dove tutte le miserie venivano sublimate attraverso la musica, essendo la modalità liberatoria più incisiva, diretta ed immediata, attraverso cui esercitare una sorta di psico-dinamica personale. Esprimersi attraverso uno strumento musicale costituiva anche la maniera più semplice per rimuovere quella patina oppressiva di ansia, eccedenza competitiva, paura del diverso, consumismo sfrenato e sensi di colpa, con cui la società a stelle e strisce inondava il pianeta degli umani.

È difficile trovare dei punti di ancoraggio ben precisi e delimitare un perimetro in cui fissare un luogo e una data precisa in merito alla nascita del bebop, il cosiddetto «jazz moderno», ma forse il momento propizio potrebbe coincidere con la fine del secondo conflitto mondiale, tra il 1943 ed il 1946, e con lo sfaldamento delle big band dovute alla crisi economica post-bellica. Molti musicisti, liberi da impegni e svincolati da contratti, soprattutto per sbarcare il lunario, cominciarono ad inventarsi un nuovo modo di declinare il verbo del jazz. In particolare, si cercò una dimensione più ristretta attraverso cui esprimersi, ossia i piccoli ensemble formati da quattro o cinque elementi, dove troneggiava la figura di un leader, in massima parte rappresentata da uno strumento a fiato. A parte la tromba che subirà molte evoluzioni stilistiche, il bepop divenne una stagione assai favorevole al sax, in tutta la sua gamma espressiva, dal baritono, al tenore, dal contralto al soprano.

Questo strumento diverrà il terreno di coltura di alcune delle migliori individualità jazz, dalla metà degli anni ‘40, fino ai primi anni ‘60, passando attraverso le forme evolutive del bebop, come hard bop, cool e free jazz, grazie al lavoro di alcuni pionieri come Lester Young e Coleman Hawkins che avevano operato uno svecchiamento dello strumento. L’album, «Bird and Diz», nello specifico è una rappresentazione fedele di quelle che furono le principali tematiche compositive ed espressive del jazz moderno, rispetto alla tradizione. L’America post bellica, sebbene attraversata dalla crisi, era pervasa da un’atmosfera di positiva rinascita, soprattutto a livello artistico. L’euforia per la fine del conflitto, determinò la voglia di cambiamento a tutti i livelli; soprattutto le esigenze di una vita migliore da parte degli Afro-Americani cominciarono a coincidere con la musica. Finita la stagione delle grandi orchestre, dove il jazz, in massima parte, costituiva una semplice forma di intrattenimento e di musica da ballo, con il bebop si fa catalizzatore anche delle nuove istanze sociali, imboccando il sentiero impervio della contestazione e dell’impegno. La maggior parte dei musicisti coinvolti in questo nuovo «movimento» di idee e di stile, erano di colore. In particolare, quello che indichiamo come jazz moderno ebbe due fonti principali da cui zampillarono la maggior parte delle idee. Queste due sorgenti d’ispirazione furono Charlie Parker e Dizzy Gillespie, i quali, indiscutibilmente, arricchirono la tradizione del jazz con l’assunzione di quanto di meglio altri avevano costruito prima di loro, rimodellando il genere e aggiungendo ad esso nuovi moduli espressivi e tecniche ancora inusitate, divenendo a loro volta esempi a cui guardare, ispirarsi e, alla fine, su cui costruire. Disse una volta Miles Davis: «Bird era il cuore pulsante del bop, ma Dizzy, con la sua concretezza e la visione d’insieme, teneva unito tutto il movimento, ne era il vero collante».

Parker e Gillespie si conobbero giovanissimi, entrando a far parte dell’orchestra di Earl Hines. Pur avendo due caratteri diversi si presero subito, probabilmente anche per questo, stabilendo una certa complicità. Dizzy aveva un carattere solare e burlone, sempre allegro, ma professionalmente studioso, preciso ed impeccabile; Charlie era un carattere difficile, scontroso, pieno di sé, disordinato, un talento naturale quasi un autodidatta, deciso, però, a dimostrare al mondo di essere il migliore. Molti intuirono le potenzialità di Bird, ma tacquero, altri lo sottovalutarono. Gillespie non si fece scappare l’occasione: sapeva che dalla loro unione sarebbe scaturito qualcosa di innovativo e rivoluzionario. Il resto è storia. La maggior parte delle interpretazioni di Parker e Gillespie, frutto di collaborazione, risalgono al periodo compreso tra il 1944 e il 1946. A quel tempo Gillespie aveva una piccola band, in cui Parker faceva da solista. Poco dopo si separarono ed ognuno per la propria strada, ma la miccia era stata innescata. L’album in oggetto, «Bird and Diz» rappresenta il primo incontro ufficiale fra i due dai tempi dalla prima separazione.

Rispetto ai documenti sonori del primo periodo post-bellico, qui, la qualità sonora è eccellente e sia Parker che Gillespie sembrano attraversare un momento artisticamente felice, risultando più maturi, consapevoli e più freschi di prima. In «Bird and Diz» la complicità è tangibile e si percepisce un’atmosfera quasi divertita. I due suonano in maniera impeccabile, cavalcando tutte le istanze del nuovo verbo sonoro di cui erano portatori ed in parte inventori. Ottima la sezione ritmica d’accompagnamento: il pianista Thelonious Monk, ancora non proprio in luce, ma già determinante; Curly Russel, un bassista in grado di esprimersi al meglio nell’idioma del moderno jazz e Buddy Rich, batterista potente e di carattere. «Bloommido» è un bop scoppiettante, molto «swing-swing», una sorta di anello di congiunzione tra vecchio e nuovo, dove i due soci in affari si suddividono bene la parte: l’inizio è ad appannaggio di Bird, che soffia nel mantice in maniera molto ariosa e divertita e con qualche accenno d’improvvisazione, ma assai regolare. L’ingresso della tromba di Dizzy definisce la linea melodica in maniera più intrigante, quasi a voler stemperare l’esuberanza del sodale. C’è spazio anche per un moderato fraseggio pianistico da parte di Thelonious Monk, decisamente defilato rispetto ai due protagonisti, mentre Buddy Rich alla batteria fa da spartiacque ai fiati, fino al ritorno del sax di Parker per il gran finale; dal canto suo Curly Russel al basso offre il sostegno dovuto in maniera metronomica e impeccabile, come si conviene ad un gregario di lusso. «An Oscar For Treadwell» parte da una base blues innestando sugli accordi una insinuante melodia pilotata da Bird, a cui Gillespie fa da contrappunto con la sua tromba fino a quando le parti non s’invertono. Come da copione, la batteria innesta la marcia per rilanciare il sassofono in prossimità della chiusa finale. Il sax di Bird risulta più libero nella take alternativa, dove i titolari dell’impresa non si condizionano a vicenda: i due strumenti eseguono la loro parte aggiungendo qualche fraseggio improvvisato.

«Mohawk», piccolo gioiello dal sangue blues, si snoda flessuoso, dopo un incipit strombazzato. Lo strumento di Parker disegna linee oblique, fino all’arrivo della tromba in sordina, quasi a voler ricamare pedissequamente la stessa melodia del sax, perfino il piano di Monk è in perfetta sintonia ed, a seguire, il basso di Russel fino all’inserto conclusivo della tromba. Sulla take alternativa non c’è nulla di nuovo, tutto come da copione: le parti tra i due ottoni s’invertono, come due ragazzini che si divertono a scambiarsi le figurine o i fumetti. «My Melancholy Baby» è una struggente ballata, Parker inizia il racconto accarezzando la notte e quel senso di malinconia che percuote l’umanità, mentre la tromba di Dizzy sembra descrivere i pensieri inquieti degli amanti, così il piano di Monk placa i pensieri in un vortice di emozioni. Il ritorno del sax scuote tutti dal torpore. «Leap Prog» è un bop classico di pregiata manifattura, concepito con tutti i crismi e come da manuale.

Nelle varie take si gioca sull’improvvisazione e i due strumenti a fiato accrescono la componente ludica, facendone quasi una sfida sul terreno della velocità, sempre in crescendo. «Relax With Me», già il titolo la dice lunga, rappresentando la quiete dopo la precedente procella di suoni. Un dinoccolato tema dai cromosomi blues che offre ai due sodali un terreno fertile per una facile melodia dall’andamento un po’ habanera, dove nel corpo centrale fanno capolino anche basso e piano per un breve assolo, quindi libero sfogo ai due fiati sino alla fine su variazioni tematiche. Anche in questo caso la seconda take, è solo un percorso alternativo, a parti quasi invertite. «Bird and Diz» di Charlie Parker e Dizzy Gillespie è un album divertente e vivace, non ci sono altre definizioni, immediato ed intellegibile in ogni traccia, soprattutto adatto a qualunque tipo di orecchio. È impossibile camminare sulla strada maestra del jazz mondiale, senza fermarsi ad ascoltarlo.

Charlie Parker & Dizzy Gillespie