// di Francesco Cataldo Verrina //
La formula del piano trio divide molto gli appassionati di jazz, tra apocalittici ed integrati. Una cosa è certa, al di là di quelle che possono essere le propensioni all’ascolto, il piano trio ha più difficoltà a sfondare la barriera della diffidenza, se chi mette le mani sui tasti non possiede un personalità forte e marcata, capace di una narrazione piena ed avvolgente.
Nel caso di Stefania Tallini ogni dubbio in proposito si dissolve rapidamente, bastano poche note, mentre il progetto “Univen” si caratterizza come una costruzione ricca di elementi sonori, a tratti seducenti, raffinati nella loro asimmetria e resi avvincenti da una costante non prevedibilità. Stefania Tallini è da tempo un nome conosciuto e riconosciuto nell’universo del jazz italiano per via delle tante collaborazioni con musicisti del calibro di Guinga, Bruno Tommaso, Enrico Pieranunzi, Andy Gravish, Gabriel Grossi, Javier Girotto, Gabriele Mirabassi, Corrado Giuffredi, Enrico Intra, Dino e Franco Piana.
“Uneven”, decimo capitolo della sua discografia come band-leader, si sostanzia come una delle migliori pubblicazioni di jazz italiano degli ultimi anni. Prodotto dall’Alfa Music il disco mette in luce tutti i talenti della pianista, ma imprime al suo modus operandi un svolta, fissando nuovi punti ancoraggio, che ampliano lo spettro della percezione sonora, dilatando la componente istintiva ed emozionale, ma soprattutto confermandone la ricercata abilità compositiva.
La stessa Tallini cerca di tracciare le linee perimetrali di questo lavoro, raccontandolo così:“ “Questo disco rappresenta una tappa molto importante, che è, allo stesso tempo, un nuovo punto di partenza – così come lo è sempre ogni obiettivo raggiunto – di un percorso musicale che sento continuamente in movimento. UNEVEN ha diversi significati: irregolare, asimmetrico, non allineato, dispari, disuguale, che sicuramente rappresentano gli aspetti che più caratterizzano le mie composizioni degli ultimi anni. Questa parola inglese è quindi l’espressione di qualcosa di inatteso, di inaspettato, che rimanda ad un carattere di imprevedibilità, appunto, che è proprio ciò che amo nella musica e nella vita.”
Il cerchio si chiude con la presenza di due perfetti alleati, musicisti di vaglia e di riconosciuta fama internazionale; il batterista Gregory Hutchinson, richiestissimo a livello mondiale con un carnet di collaborazione da gunness dei primati, definito da Jazz Magazine “the drummer of his generation” ed uno fra più accreditati contrabbassisti europei, Matteo Bortone, convincente strumentista e compositore, nonché vincitore del Top Jazz 2015. Il trio delle meraviglie procede con estrema affinità elettiva e sincronismo, conferendo all’album omogeneità, stabilità ma, al contempo, grande varietà espressiva. Queste le parole di Stefania: “L’imprevedibilità, la sorpresa di percorrere insieme nuove vie, l’esplorazione di diverse soluzioni possibili attraverso una libertà totale nel pensare la musica, il senso del gioco unitamente ad una fantasia viva, mi danno la misura di quanto questo sia il trio dei miei sogni, il cui profondo respiro artistico è ciò che libera la mia musica facendola volare in alto”.
L’album “Uneven”si compone di dieci tracce originali scritte ed arrangiate da Stefania Tallini, più la revisione di uno dei più intriganti e attrattivi standard dell’AmericanSongsBook, “The Nearness You” di Hoagy Carmichael, restituito al mondo degli uomini con un tocco divino, in punta di piedi e con l’eleganza di una danzatrice classica; non è da meno l’omaggio ad Antonio Carlos Jobim, con una velata e malinconica versione di “Inùtìl Paisagem”, in cui si riesce a cogliere perfettamente la “saudade”, quel senso di nostalgia e tristezza tipico dei compositori brasiliani.
L’album si muove nella sua interezza con un passo leggero, ma mai indeciso e tutte le composizioni a partire dalle iniziali ed oniriche “A Twin Thought” e “Il Sogno” che, nella loro diversità compositiva, sembrano scavare nella profondità dei sentimenti, sia pure intervallate dalla title-track, “Uneven”, che diventa il momento più riconoscibile del lungo percorso sonoro, caratterizzato da una linea di basso sferzante e da un drumming tagliente, mentre il piano declina veloci progressioni quasi funk-fusion. In maniera meno concitata, la medesima atmosfere si respira anche in “Le Isole dei Ciclopi”. Per contro “In the Night” ricollega i fili della narrazione più intima, interrotta per qualche minuto dalla scintillante ed esuberante “Blue Some”, altro contrassegno saliente dell’album, insieme alla vaporosa “Nell’intramente” dai toni fortemente lirici. “Triotango”, altro momento da fissare sul taccuino della memoria, trasporta la musica verso una dimensione più esotica, con ottimi cambi di passo. “Anna” è un altro delicato affresco sentimentale dal tratto classicheggiante. “In The Cave” è l’apoteosi della tridimensione sonora con connotati marcatamente fusion ed esplorativi.
“Univen” innalza l’asticella dello score personale e del talento dell’affascinante pianista e compositrice, la quale si esprime su differenti tracciati stilistici che dal jazz portano alla classica e alla musica popolare del Sud del mondo, sotto un un unico comune denominatore, ossia l’esigenza di dare una voce nitida e comprensibile al pianoforte e comunicare sentimenti e passioni attraverso la musica. Questo disco non è una sorpresa, ma una piacevole conferma, una nota di credito in più per un jazz che diventa arbiter elegantiae.