…gli intenti del singolo si solidificano nella confluenza a tre, dove le gerarchie strumentali sembrano abdicare costantemente ad un sintesi sonora, in cui ciascuno dei sodali avanza e regredisce senza mai tenete una posizione prestabilita.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Talvolta l’immagine di copertina fornisce l’idea insita nelle tracce di un disco. Una sorta di buco nero a spirale su uno sfondo grigio che descrive perfettamente il mood estatico e l’intreccio di vocalismi transgenici che si accavallano nelle circonvoluzioni elettroniche di una sostanza sonora, ora deformata, ora implementata dalle ritmiche. Così il nuovo album di un triunvirato che stabilisce nuove regole d’ingaggio sospese fra il suono e l’aria circostante, tra la materia e l’antimateria, tra la voce ed il rumore di pensieri, talvolta sotterranei che sembrano affiorare completamente denudati di ogni regola armonica. «Fluet» di Gadaleta, Vancheri, Fioravanti, pubblicato da Dodicilune, è un blob creativo che si modella e si solidifica in progressione, avvolgendo il fruitore in una bolgia di suggestioni che rimandano ai quattro punti cardinali della musica. «»

I tre sodali non fornisco punti di riferimento ben precisi, per quanto la formula risulti alquanto dialogica e compensativa, mentre gli intenti del singolo si solidificano nella confluenza a tre, dove le gerarchie strumentali sembrano abdicare costantemente ad un sintesi sonora, in cui ciascuno dei sodali avanza e regredisce senza mai tenete una posizione prestabilita. Marta Gadaleta (voce, parole, elettronica, oggetti sonori), Gianni Vancheri (composizione, chitarre, clarinetto basso, elettronica) ed Ettore Fioravanti (batteria e percussioni) agiscono attraverso un by-play improvvisativo improntato alla massima libertà espressiva, mentre il gioco dei ruoli sembra dissolversi passo dopo passo. Così, le percussioni cantano, la voce si trasforma in groove, i fiati battono il tempo ammantati da un’elettronica che funge da collettore e da aggregante. Il brano di apertura, dal titolo emblematico, «Opening», a firma Vancheri, rompe subito il muro della diffidenza e la barriera del suono con una mineraria e carsica introduzione del clarinetto basso, creando una sinossi che racchiude in scala ridotta tutto il processo creativo dell’album, dove il susseguirsi di voci e strumenti si amalgamano lentamente al fine di ottenere un costrutto concettuale coerente. «Drawings», su musiche di Vancheri e Gadaleta, autrice de anche del testo, offre l’onore dell’apertura al kit percussivo di Fioravanti, mentre è la chitarra, a volte abrasiva e distorta come un un graphos impazzito e schizzante, ad indicare il cammino ad un canto dissonante ed atonale, talvolta sospeso tra lamenti ed aerosol vocali, fino a giungere ad uno speech francofono. In «Automat», ancora farina del sacco del polistrumentista Vancheri, è la chitarra con tono esplorativo a tracciare la rotta, vibrando nell’aria l’essenza di un suono metropolitano in una notte affollata, dove la solitudine sembrerebbe incarnare un silenzio assordante. «Lament / Hoping», nata ancora dal tandem autorale Gadaleta e Vancheri, accende i riflettori su un grande musicista prematuramente scomparso, Gianni Lenoci, attraverso un costrutto duale contrassegnato nella prima parte da un lamento doloroso che ne esalta il ricordo, quasi alla medesima stregua delle antiche prefiche, fino a giungere all’intonazione di un elogio cantato sostenuto dalla chitarra, in netto contrasto con l’elettronica che affluisce lentamente in superficie, divorando parole e patimenti.

«New Tune» è un componimento di Lenoci, a cui per l’occasione è stato aggiunto un testo per mano di Marta Gadaleta e rimodellato negli arrangiamenti da Gianni Vancheri, i quali spostano il tema su una viabilità più impervia e tortuosa, in cui l’intensa attività percussiva di Fioravanti esalta lo straziante incedere della voce che, facendosi strada nella fitta spirale ritmica, emana sprazzi di melodia, giungendo sul finale ad una quadratura tematica. «Beyond» è una perifrasi onirica e sospesa, in cui clarinetto basso e voce si contrastano e si attraggono in un un morganatico fatto di sospetti e di complicità chiaroscurali. «Feel The Light» inizia con uno speech su un cadenzato blues locupletato dalla chitarra, fino a giungere ad un habitat sonoro più aperto e narrativo, illuminato da un cantato che a tratti ricorda la teatralità marciante di Kurt Weill. «Graduale» è un’altra composizione di Lenoci, sulla quale è stato innestato un testo e trasfigurata con un arrangiamento basato sulla perpetua progressione ritmica, in cui la voce apre, qua e là, qualche squarcio melodico. «Miglia da fare prima di dormire», scritta da Vancheri con le liriche di Gadaleta, è una ballata inquieta, in cui l’aspro suono della chitarra accompagna la voce che tenta di liberarsi dalle difficoltà che incombono, alimentata da un desiderio catartico contemplato solo nella fase conclusiva. «Mille Comete» appare come una breve di camera di decompressione, dove l’incanto, lo stupore e la meraviglia si trasformano in dolcezza. «Ending», nomen omen, suggella l’album con una digressione quasi post-punk, in cui i vocalizzi, unitamente alle corde distorte della chitarra, creano una trance sonora che s’infittisce fino a disgregarsi in un silente iperspazio privo di forza di gravità. «Fluet» di Gadaleta, Vancheri, Fioravanti è un disco di immateriale ed impalpabile bellezza, dove il bello non è mai un compromesso estetico con la forma. Traccia dopo traccia, si cammina sui carboni ardenti al fianco di tre anime in fiamme, dove il bruciore supera il calore ed il colore è intorbidito dal dolore, mentre i demoni creativi diventano gli officianti prediletti di una musica pagana e non irreggimentata nelle convenzioni.