Beatrice Arrigoni Quartet

Le parole dei testi, mai banali e fintamente surrettizi alla metrica, diventano un io-narrante che scorre come un lungo fiume di pensieri lungo gli argini della struttura armonica, mentre fonemi, musica, vocalizzi e scatting si fondono in un perfetto compost multitematico.

// di Francesco cataldo Verrina //

In epoca in cui si assiste alla «canzonettizzazione» del jazz, la scelta di Beatrice Arrigoni, oltre che coraggiosa, appare quanto meno degna del massimo rispetto: la sua voce canta e suona come uno strumento vero e proprio, divincolandosi all’interno di un trama sonora, a tratti minimale ma complessa, fatta di precipizi, cambi di tonalità, fonemi gutturali, improvvisazioni a schema libero, asperità strumentali e rapide virate sulle strade accidentate della dissonanza. La cantante, titolare del progetto, evita le situazioni ridondanti, quale il ricorso ad orchestrazioni laboriose con archi e fiati, come accade sempre più spesso; per contro si adagia su una semplice sezione ritmica: Danilo Tarso al piano, Andrea Grossi al contrabbasso e Mattia Galeotti alla batteria, i quali si mostrano mercurialmente adattivi agli assunti basilari del progetto, nonché forieri di un completo campionario di energia armonica.

«Terrestre» di Beatrice Arrigoni, pubblicato dalla Barly Records, è un album dall’afflato stritolante e di grande atmosfera, a cui il jazz fa da scenario ideale, come se le immagini sonore venissero proiettate su un maxi-schermo, mentre le parole dei testi, mai banali e fintamente surrettizi alla metrica, diventano un io-narrante che scorre come un lungo fiume di pensieri lungo gli argini della struttura armonica. Fonemi e musica, vocalizzi e scatting si fondono in un perfetto compost multitematico bruciante e sospeso fra aria, terra e fuoco. L’opener, «Voci dal fondo» ha le sembianze di una ballata intima e crepuscolare, accompagnata dal suadente flusso della retroguardia ritmica, che s’irrobustisce nel tratto finale, tra colori mutevoli ed intime suggestioni. «La Stanza di un tempo» è quasi una poesia cantata, tra Emily Dickinson e T.S. Eliot, ricca di momenti rievocativi. Nell’intermedio, il melodismo struggente del basso, suonato con la leggiadria di una chitarra, e la progressione del piano forniscono al componimento una vestizione ricca di cromatismi ed appigli armonici propedeutici al ritorno in auge della voce di Beatrice, mentre l’ardore della fiamma creativa sembra non spegnersi mai.

«Interludio» è un breve canto notturno propiziatorio, privo di parole e preparatorio all’arrivo della title-track, «Terrestre», che si srotolata come una danza dai sentori antichi, attraverso una sinergica compliance fra la voce ed il groove prodotto dal comping dalla sezione ritmica. Un cambio di passo, magnificato dal basso ad arco, diventa un piccola camera di decompressione prima del ritorno al mood iniziale, implementato da un lungo innesto strumentale. «Regina Antica» è ammantata da una narrazione fiabesca che si adagia sulle parole di un testo surreale, perforate dal walking del contrabbasso e dal ciclico incalzare del kit percussivo, mentre sul finale il pianoforte ne accentua il pathos con poche note sorrette da un maliardo vocalizzo. «Quello che resta» ne riprende il mood con un canto sospeso e onirico, dove le parole sono sostituite dal piacevole gioco di «scattose» armonizzazioni che emergono dalle spire vocali di Beatrice, mentre il substrato ritmico s’infittisce frustando l’aria. «Inno» scava negli abissi reconditi dell’anima, tra pathos e nostalgia, mentre il vocalismo multitonale dell’Arrigoni s’inabissa negli anfratti del costrutto sonoro. «Risonanze» fa ancora ricorso al formato canzone con musica e parole, dove il testo innerva la poetica narrativa e la lucidità adattiva delle liriche al complesso intreccio strumentale.

In chiusura, «L’attesa», che si placa e si materializza come una perifrasi fitta di cambi di umore, i quali innescano una serie di varianti argomentali, sia vocali che strumentali, specie nella parte finale, in cui l’atmosfera diventa quasi cupa ed avvolta in una suspance di tipo cinematografico. «Terrestre» di Beatrice Arrigoni è un album di pregevole fattura, con imbastiture ritmico-armoniche non convenzionali, una scelta altra rispetto agli indicatori del jazz contemporaneo cantato, un concept ardimentoso nei propositi e nell’esecuzione, non proprio un giro di giostra al luna park del jazz modello canta che ti passa, per contro richiede una ascolto attento e ripetuto che, alla fine, potrebbe condurre alla dipendenza.