«Out Of The Afternoon», definibile come hard-bop-verging-on-post-bop (letteralmente un hard bop sull’orlo del post-bop), una sorta di hard bop giocato a schema libero, quasi off limits che sfiora i confini del post-bop. Del resto l’etichetta di Bob Thiele aveva il suo claim: «The New Wave Of Jazz…Feel It On Impulse!».
// di Francesco Cataldo Verrina //
La pratica potrebbe essere liquidata sostenendo che il polistrumentista Roland Kirk sia l’inevitabile protagonista di questo compatto e ben riuscito set del 1962. Kirk, in effetti, si misura su svariati strumenti con l’abilità di un Mandrake: sax tenore, manzello, strich, flauto in do, perfino un flauto da naso, dando prova di maestria negli scambi con Tommy Flanagan al piano ed Henry Grimes al basso.
In verità «Out Of The Afternoon» nasce e si sviluppa lungo un sentimento chimico-ritmico espresso da Roy Haynes, uno dei batteristi forse più trascurati dai compilatori di storie del jazz, ma con un ottimo deposito di buoni del tesoro avallati da firme importanti come Miles Davis, John Coltrane, Thelonious Monk, Bud Powell, Sarah Vaughan, Sonny Rollins, Eric Dolphy, Milt Jackson, McCoy Tyner e Jackie McLean. Durante l’epopea aurea del bop Roy Haynes era praticamente ovunque, quasi ubiquo, ma entrava ed usciva da uno studio all’altro in punta di piedi e defilato dietro i suoi tamburi. Nel corso di quegli anni non registrò molto in qualità di band-leader, ma produsse due album degni di nota sotto le proprie insegne: «We Three», nel 1959, in trio con Phineas Newborn e Paul Chambers; nonché l’album sotto i nostri riflettori, «Out Of The Afternoon», definibile come hard-bop-verging-on-post-bop (letteralmente, un hard bop sull’orlo del post-bop), una sorta di hard bop giocato a schema libero, quasi off limits che sfiora i confini del post-bop. Del resto l’etichetta di Bob Thiele aveva il suo claim: «The New Wave Of Jazz…Feel It On Impulse!».
La musica è raffinata ed avulsa da qualsiasi assalto selvaggio alla diligenza, ma lo spirito è avventuroso e mira ad oltrepassare il perimetro del convenzionale, soprattutto i cavalli non sono mai inferociti e senza controllo: «Moon Ray» emana una piacevole melodia di cui era coautore Artie Shaw, la quale cresce attraverso un movimento elastico garantendo al fruitore sei minuti di gratificante beatitudine sonora; così come «If I Should Loose You» di Leo Robin e Ralph Rainger che viene scodellata con abbondante dose di zollette zuccherate, mentre «Fly Me To The Moon» di Bart Howard è rinverdita e rivestita con un nuovo abito su misura trapuntato di brillante e contagiosa attualità. «Raul», a firma Haynes, è un piccola chicca contenente uno dei pochi assoli di basso ad arco, quasi in disuso nei dischi dei primi anni Sessanta.
La batteria di Haynes crea un movimento danzante intorno agli altri strumenti; il pianoforte di Flanagan mostra il tocco leggero e delicato del cesellatore; Grimes va in paradiso per il già succitato assolo di basso ad arco in «Raul»; impeccabile il lavoro di sax e flauto da parte dell’infaticabile Kirk, in particolare su «Snap Crackle», che si caratterizza come uno dei tratti salienti dell’album, un brano composto da Haynes, in cui l’autore-leader traccia perfettamente i contorni ed i tratti somatici del suo stile di batterista non comune, offrendo contemporaneamente a Kirk un altro veicolo per i suoi imprevedibili giochi di prestigio multistrumentali e traboccanti di soul. «Snap Crackle» era anche il soprannome affibbiato ad Haynes per il suo modo di suonare esplosivo, scattante ma leggero al contempo. Registrato nel maggio 1962 presso lo studio Van Gelder, «Out Of The Afternoon» mette in luce un’ottima qualità sonora pari al suo contenuto artistico. Siamo di fronte ad una registrazione di quasi sessant’anni fa che risulta più moderna di quanto si possa immaginare.
Ogni strumento è avvolto da una scia di riverbero che aggiunge un piacevole senso di spaziosità all’impianto complessivo, mentre i timbri strumentali suonano piacevolmente naturali: il contrabbasso di Henry Grimes è incisivo e pulito; il flauto di Roland Kirk risulta adeguatamente arioso e scorrevole, il suo sax ha una musicalità rotonda ed un tono brunito; il pianoforte di Tommy Flanagan è corposo, brillante ed armonicamente distinguibile. La batteria di Haynes appare sorprendentemente reale: i colpi di rullante, le percussioni sui tom e gli attacchi sui piatti risultano brillanti e persistenti. L’immagine stereo è tipica del periodo, spostandosi con un semplice movimento sinistra/centro/destra come tutti i primi dischi jazz stereo, ma ogni strumento è ben separato e non sovrabbonda sugli altri.