…prevalentemente basato su un’originalità ideativa e compositiva, possiede, perfino, il dono dell’ubiquità: il repertorio scodellato dall’ensemble, pur conservando un comune matrice jazzistica deraglia idiomaticamente verso forme sintattiche molteplici, incanalandosi in quella scorrevole liquidità che inonda i tratti somatici degli universi sonori contemporanei.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Sono molte le figure geometriche che possono dare l’idea del jazz, a seconda delle peculiarità del progetto, che può essere perfino simmetrico e asimmetrico. La scelta del «tetraedro» come indicatore di direzione di un progetto discografico, potrebbe spingere la fantasia del fruitore verso recondite armonie e geometrie esistenziali (quelle di cui parlava anche Franco Battiato). Per contro, il recensore potrebbe inabissarsi in una serie di congetture di natura filosofica. In fondo cui prodest un progetto musicale, fatto per essere dispensato presso le umane genti, se non evoca suggestioni, sensazioni e stati d’animo variabili, mutevoli e contrastanti. In fondo per il Teatrad Quartet potrebbe solo significare un’identificazione formale ed estetica, dove ogni faccia del tetraedro diventa la rappresentazione estetica dal contributo materico e tangibile dei singoli musicisti uniti in forma e sostanza dall’idea di un concept sonoro improntato all’originalità compositiva, dove la partitura scritta e la fase improvvisativa si alternano e si compensano con tetraedrica creatività.
L’album «Even Odds», appena uscito per Filibusta Records, in italiano significa «Pari Probabilità» e sottolinea il desideri da parte del compatto line-up, Gianluca Manfredonia (vibrafono), Armando Iacovella (chitarra), Alessandro Del Signore (contrabbasso) e Alessandro Forte (batteria), di tirare in ballo il concetto pitagorico di «tetraktys», basato sul numero quaternario, che per i pitagorici rappresentava la successione aritmetica dei primi quattro numeri naturali, più precisamente numeri interi positivi che costituiscono un «quartetto»; nel nostro caso, riferito alla naturale convivenza di numeri pari e dispari che come accade spesso nell’ambito dello scibile jazzistico, ma musicale in genere, crea la cosiddetta compensazione dell’alternanza tra un tono e un mezzo tono. Spinte creative di natura fiosofico-geometrico-matematiche che s’incuneano nelle maglie del costrutto sonoro e ne ampliano lo spettro percettivo o solo espedienti linguistici? Così penserebbe l’austero musicologo pentito con un libro ingiallito sottobraccio, comprato su una bancarella al mercato dei sogni.
In fondo, scorrendo le vari tracce di «Even Odds», sogno e realtà si mischiano, numeri e parole non dette, ma pensate, si esprimono attraverso un linguaggio perfettamente condiviso da quattro sodali di diversa estrazione e provenienti da differenti terre di confine. Basta l’opener, «Augmented Time», un architettura estasiante con ampi spazi di luce che cela un desiderio di spazialità e di indefinito altrove, a dare qualche consiglio su una precisa lettura dell’album. L’eclettismo esecutivo è confermato subito da «Sotomayor», in cui la band trova una forma mentis più solida e metropolitana con qualche scaglia di rock a lievitazione naturale. Il progetto del Teatrad Quartet, prevalentemente basato su un’originalità ideativa e compositiva, possiede perfino il dono dell’ubiquità: il repertorio scodellato dall’ensemble, pur conservando un comune matrice jazzistica deraglia idiomaticamente verso forme sintattiche molteplici, incanalandosi in quella scorrevole liquidità che inonda i tratti somatici degli universi sonori contemporanei. «Almost 11», introdotta dal vibrafono assume le sembianze multicromatiche della colonna sonora di un Luna Park per adulti in vena di ritornar bambini. «Cantata dei giorni dispari», distesa su tappeto di suoni cunicolari e sotterranei, emana tutto il languore crepuscolare ed il disagio di quei giorni che corrispondono a numeri non proprio fortunati: in fondo è il senso della vita. La title-track, «Even Odds», spalmata sul lungo tempo di quasi dieci minuti, è una piccola Odissea sonora ricca di cromatismi, dal sapore cinematico e descrittivo come un rullo di emozioni che si srotola lentamente.
I componimenti del Teatrad Quartet ed i vari moduli espressivi, proprio come in un tetraedro, danno l’idea di segmenti i quali congiungono ciascun vertice con il baricentro della faccia opposta per incontrarsi in uno stesso punto. Per un gruppo jazz significa che i vari strumenti, pur partendo da un punto diverso, finiscono per confluire tutti al nucleo cellulare di un’idea foriera di elementi diversi e centrifughi che, mescolati nell’alambicco ritmico-armonico, si fondono in un unico afflato. Dunque, l’arrivo di «Pulsar & Quasar» spinge il fruitore in sorta di (tri)dimensione emozionale, dalla quale emerge come da un lavacro purificatorio «Sideways», una magnifica ballata ricamata dalla voce di una Sirena. Si potrebbe parlare di interplay e by-play, di fuga e di ritorno, di botta e risposta, di tensione e rilascio, ma nell’impalcatura sonora del quartetto non esistono stilemi distintamente tracciabili, ma un unico gettito creativo che risente dell’ascolto e del background di ogni singola falange. Così, «Elapse» diventa un dispenser di vibrazioni corporee ed aurali a presa rapida, mentre sul finale «Coming and Going» s’infila in un habitat lussureggiante e floreale fatto di melodiose essenze e di nuances armoniche inebrianti. Giocando ancora per metafore, «Even Odds» del Teatrad Quartet, registrato al Village Recording Studio di Roma, è progetto musicale che possiede inequivocabilmente forma, numeri vincenti, ma soprattutto consistenza materica, compositiva ed esecutiva.