//di Francesco Cataldo Verrina //

Teo Ederle è un musicista dal solido background, capace di rimanete in equilibrio sul filo di una tensione musicale che è la rappresentazione speculare di una personalità proteiforme e ricca di sfumature. Un tratto saliente che gli ha consentito di muoversi agilmente tra elettronica, progressive, funk, reggae, avanguardia, con una capacita di amalgama e di sintesi non comune. Per intenderci Ederle è come un campione olimpico che riesce ad eccellere in più discipline. Il suo album «Fishes» racchiude l’essenza di una sperimentazione a 360° nell’ambito dello scibile sonoro, sintetizzata in una forma di moderna fusion-music assai personale. Le parole di Teo sono assai eloquenti: «Il jazz-rock ha segnato la mia crescita artistico-musicale dai dodici anni in poi, assieme al progressive-rock, senza dimenticare i Beatles e tutta l’area psichedelica (…) I miei ascolti dell’epoca mischiavano i due generi: Frank Zappa, Soft Machine, Gong, Gentle Giant, Nucleus, King Crimson, Miles Davis, Yes, Jethro Tull, Mahavishnu Orchestra, Weather Report, Chick Corea… sono stato allevato a pane e jazz, a cinque anni ascoltavo Gerry Mulligan (…) Quando sentii le prime incursioni di quello che chiamavano «jazz elettrico» mi innamorai della fusione dei generi e tutta la mia attenzione si direzionò sulle musiche dette «di ricerca».

«Fishes» è un disco che nasce dalla collaborazione di un line-up piuttosto rodato, nella doppia formula quartetto e quintetto con Enrico Terragnoli chitarre, campionatore e monotron, Stefano Menato sassofono e clarinetto, Davide Veronese tromba e Nelide Bandello batteria. Il bassista precisa che «Fishes è un tributo alle mie origini e allo stesso tempo un fissaggio marcato della mia identità artistica. Ci sono citazioni stilistiche relative a tutti i gruppi succitati, senza dimenticare gli ensemble nostrani come Area, Perigeo, Arti & Mestieri ecc., sperando che risulti anche qualche peculiarità «personale». Ederle, pur essendo un valido polistrumentista, nello specifico, suona il basso elettrico e detta le linee guida alla sua formazione, mostrando una perfetta visione d’insieme, mente il 4-5tet espande il costrutto sonoro per linee trasversali rievocando a tratti la furia dissonante di Albert Ayler, tanto quanto le strutturate sequenze armoniche dei Soft Machine, passando per il Miles più elettrico ed il Frank Zappa più caustico ed ironico. «Fishes» è un album che scava nelle profondità abissali di un oceano fatto di colori intensi e tenui al contempo, dove le sfumature sonore diventano i colori e gli stati d’animo, soprattutto ogni singolo componimento rappresenta una creatura del mare, che a sua volta diventa l’epitome della vita. L’opener, «A Dugongo Called Arnold», introdotto dal basso e dal clarinetto di Stefano Menato con andamento decisamente funkified, è componimento esplorativo dedicato al papà di Teo Ederle, il poeta Arnaldo; così come «Manta Matilde» si sostanzia come una coinvolgente ballata, struggente e brunita, dedicata alla madre.

«Octopus Full Moon Dance», introdotta dalle pulsazioni del basso di Ederle, ha le sembianze di una serpeggiante danza arabescata dal ritmo sinuoso dal cui ventre escono i mercuriali assoli del sax di Menato e della chitarra di Enrico Terragnoli. «Dennis The Sand Hopper», un costrutto vagamente ayleriano imperniato su una lunga progressione free form aperta dal marciante drumming di Nelide Bandello, è un tributo al noto attore americano. «Umorismo e ironia fanno parte del DNA di una percentuale consistente di artisti e (spero) anche del mio. – Dice Ederle – Anche nella scelta dei titoli si evince questa tendenza: quando ho scoperto che la traduzione di «pulce d’acqua» era Sand Hopper mi è venuto naturale chiamare il brano «Dennis The Sand Hopper» in omaggio a Dennis Hopper, icona dell’era hippie». «Sawfish In February» si snoda inizialmente su un arrangiamento molto lineare, quasi descrittivo e in odor di Weather Report o Perigeo prima maniera, per quanto non mancano i cambi di passo e di umore, in cui la chitarra assume un atteggiamento quasi psichedelico. «MedusAmbush» si sostanzia come una ballata appuntita e perforante che, come una scandaglio, tenta di esplorare le profondità del mare e dell’animo umano, mentre le sonorità quasi attutite e distorte della chitarra sembrano diradarsi nello struggente tema melodico declamato dal sax dell’onnipresente Menato. «One Minute Plancton« è una circonvoluzione basata su un’improvvisazione dissonante, locupletata dalla tromba «mutizzata» di Davide Veronesi che rende l’impianto sonoro onirico e sospeso. Come racconta lo stesso Ederle «nasce all’insegna dello sberleffo. Un musicista alla volta in sala di registrazione a fare un minuto a suo piacimento senza sapere assolutamente cosa avrebbero fatto gli altri». «Fishes» di Teo Ederle, pubblicato dall’etichetta Flying Robert Music di Nelide Bandello, è un album che unisce cromatismi melodici assai delicati ad impervi ed accidentati percorsi armonici, fondendo a caldo stimoli provenienti dal passato ed avanguardia. Un disco non comune per ispirazione, composizione ed esecuzione che si eleva sulla media del periodo gettando le basi future per un jazz modulare e sinestetico nell’accezione più larga del termine.