// di Francesco Cataldo Verrina //

Ascoltando il nuovo album di Marco Bardoscia, «Legno Madre», pubblicato dala Tŭk Music di Paolo Fresu, la prima idea che potrebbe affiorare alla mente è quella di una «terza via» sviluppata in un’ampia visione di jazz contemporaneo ed espanso. In realta uno scandaglio attento delle varie tracce ci conduce verso una dimensione a sé stante, un’altra via che il bassista traccia secondo un metodo del tutto personale che si nutre di stimoli molteplici provenienti da innumerevoli direzioni. Accade quasi sempre cosi quando il titolare dell’impresa è un contrabbassista, ossia un musicista bidimensionale in possesso di una visione ritmica e percussiva del tempo e dello spazio, nonché di un’idea tematica che travalichi la classica gerarchizzazione strumentale, approdando su territori talvolta inesplorati, una sorta di terra vergine conquistata e fertilizza attraverso idee che sembrano fiorire lungo il cammino, nel quale s’innestano reminiscenze jazzistiche, spunti latino-ispanici, colori mediterranei, sentori di classicismo e frammenti di canzone popolare.

Anche questo nuovo progetto di Bardoscia, cosi come il precedente «The Future Is A Tree», uscito sempre su Tŭk Music, mostra un legame ancestrale con la natura di cui gli alberi ed il legno sono la rappresentazione vivente. Viene in mente quell’antico adagio che recitava più o meno così: «Per fare un bosco ci vogliono cento anni, basta un giorno per distruggerlo». Il legno, quando non abusato dagli uomini nello sterminio incontrollato degli alberi, diventa anche arte tangibile rivivendo attraverso oggetti, mobili, sculture e strutture ornamentali, soprattutto sono di legno molti strumenti musicali, da cui sovente riaffiora la forza e la voce di quelle piante dalle quali essi vengono ricavati, mentre i suoni sembrerebbero riprodurne le pieghe, le curvature, la morbidezza, la malleabilità o la durezza, la nodosità o la linearità. Il legno, ossia il ricavato di ogni singolo albero non è dissimile alla natura umana: ciascuno di essi costituisce un unicum dalla personalità inequivocabile. Così le opere musicali di Marco Bardoscia diventano un monito sonoro tesso a rammentare costantemente il rispetto per la natura. La parole del bassista in proposito sono alquanto eloquenti: «L’uomo non è che uno degli elementi della natura che lo circonda e ed è pericoloso avere una visione così limitata della realtà, non c’è futuro per gli uomini senza il rispetto e l’amore per il mondo che li circonda e se impariamo ad amare un fiore, un albero, un uccello o un fiume stiamo già amando noi stessi e il nostro prossimo. La lezione più grande ci viene proprio dalla natura e dall’armonia che la regola, proprio come in una musica ben organizzata in cui per ognuno c’è spazio e tutti sono importanti e proprio grazie a questa pluralità la musica suona meglio e diventa armonia». Perfino l’art work della copertina risulta piuttosto esplicativo rappresentato da tre fiammiferi di legno proposti in tre livelli di bruciatura.

Marco Bardoscia, contrabbasso e composizioni, nel suo esplorativo peregrinare in una fitta ragnatela di strutture melodico-ritmico-armoniche, talvolta complesse, altre volte più lineari, è sostenuto in un perfetto interplay da Gabriele Mirabassi al clarinetto, William Greco al piano, Dario Congedo alla batteria e Simone Padovani alle Percussioni, i quali costituisco l’ossatura base dell’opera, nella quale s’inserisce magnificamente anche l’Orchestra da Camera di Perugia, arricchendosi della voce di Mannarino nella seconda traccia. Registrato al Cicaletto Studio di Arezzo, l’album consta di dieci componimenti arrangiati da Marco Bardoscia e di cui otto completamente farina del suo sacco. In apertura la title-track , «Legno Madre» che, sostenuta da tutta l’imponenza orchestrale, si sostanzia come la colonna sonora di un film, mentre davanti agli occhi del fruitore passano immagini e fotogrammi di scenari mozzafiato, foreste e boschi lussureggianti fitti di alberi e piante secolari. «Làgrimas Negras», locupletato dalla profonda voce di Mannarino che sviluppa uno speech coinvolgente, è una delle due composizioni non firmate da Bardoscia, dove il legno di Gabriele Mirabassi s’inserisce perfettamente nella narrazione sorretto da un groove afro-cubano. «Peace», introdotto dal basso del band-leader è un brano arrangiato da Alfonso Girardo, in cui Bardoscia dimostra che il suo pesante strumento può essere evocativo e ricco di cromatismi melodici. «Abitare poeticamente il mondo» ha le sembianze di una ballata ricca di suggestioni immaginifiche, quasi sospese, che si avvale del lussureggiante apporto dell’orchestra. «Madeira» è un’altra escursione tra Mediterraneo e Amerindie, imperniata su un costrutto melodico armonico fatto di latin-jazz ed essenze esotiche, dove il contrasto tra il racconto melodico del clarinetto ed il movimento percussivo amplifica il quadro percettivo del fruitore.

«Sequoia, è l’albero per antonomasia, gigantesco ed imponente, ma le note del componimento, languide ed elegiache, distillate dal pathos profondo del pianoforte, sembrano ricordare al mondo la fragilità di tali creature lignee, quando esse incappano nell’incuria e nella violenza devastante degli umani. «Otto il Pirata», dopo il lamento di un bambino che sembrerebbe la voce di un albero creata dal vento che stormisce le fronde, si apre con un’imponenza percussiva quasi funkified, per poi dipanarsi attraverso il clarinetto di Daniele Mirabassi in una narrazione cinematografica dal sapore vagamente retrò. «Chica y Nano» si caratterizza mediante un movimento flessuoso dai cromatismi latini dove clarinetto e basso si scambiano promesse per l’eternità operando una differente lettura tematica, mentre il pianoforte sviluppa la melodia con un aplomb più jazzly, per poi cedere la staffetta all’immancabile Mirabassi che compie una serie di circonvoluzioni, servito a dovere dall’intera retroguardia ritmica. «Palo Santo» è un volo pindarico radente tra Antille, Caraibi e Sud del mondo, in cui clarinetto e pianoforte si ergono a guide documentaristiche, mentre il basso del band-leader vigila attento insieme alla batteria e alle percussioni. «Legno Madre» di Marco Bardoscia è un disco di rara bellezza formale e di profondo valore compositivo, potente vettore emozionale, fitto di stati d’animo mutevoli ed assai descrittivi del delicato rapporto tra elementi della natura ed appartenenti alla specie umana.