// di Francesco Cataldo Verrina //

Bob Salmieri è uno dei musicisti jazz italiani più prolifici e con una visuale a 360° sulla musica dei mondi possibili. Con una forza quasi innaturale e ciclopica, saranno le sue origini siciliane, il sassofonista, spazia su molti fronti, intercettando stimoli e suggestioni provenienti dai quattro punti cardinali della musica. Abbiamo più volte sottolineato che i dischi di Bob Salmieri hanno il fascino dei romanzi d’appendice, c’è sempre un sequel: una storia si chiude ed un’altra se ne apre, per la serie «riusciranno i nostri eroi…». Il gusto per la narrazione romanzesca del sassofonista viaggia di pari passo con lo sviluppo tematico dei suoi album che si ripetono con una precisa cadenza temporale ed in cui il costrutto melodico-armonico sembra descrivere le avventure e le scorribande di personaggi fantastici, mitici, epici, leggendari che albergano nella fervida fantasia dell’autore. Sovente i dischi di Salmieri sono accompagnati anche da un libro, in cui si intrecciano trame fantastiche e memorie ataviche. Per chi conosce bene questo infaticabile musicista-scrittore sa che in tutto questo c’è molto di autobiografico, quanto meno sono estratti della sua vita e della sua esperienza di uomo, di moderno cantastorie e di musicista, i quali vengono trasfigurati, adattati ed inseriti in una cornice fiabesca, fumettistica, urbana o post-moderna che riflette anche il mood e l’andamento delle sue composizioni. Quasi sempre il Mediterraneo, allargato alle propaggini del Sud del mondo, diviene il centro propulsore di un’antichità moderna, un tempo mare del «mondo», incrocio e confluenza di civiltà e tradizioni, il Mare Nostrum è da sempre il luogo ideale per l’ispirazione di Bob Salmieri, il quale ne scandaglia le profondità culturali, attraverso la storia e le storie di popoli e culture, uomini e miti.

Dopo essere uscito con il secondo capitolo dedicato al modo quasi fumettistico del circo con la seconda parte della saga di «…e mamma faceva la danza del ventre», già ampliata da «Ma Sister Jumps Through Fire /A Jazz Drama», Bob, col la complicità del pianista Alessandro De Angelis, nel mese di aprile, ci ha ammanniti con un un progetto dedicato alle ninna nanne, riportate in chiave jazzistica, attingendo soprattutto alla lunga tradizione siciliana e dell’Italia meridionale, attraverso la composizione originale di atmosfere sonore antiche ricollocate nelle contemporaneità: «Sicilian Lullabies And Tales». Non pago delle recenti fatiche il musicista siculo-romano ha riallacciato i fili con il suo Erodoto Project, una delle belle espressioni di jazz mediterraneo, la cui saga si sostanzia attraverso ben quattro lavori tematici, pubblicati negli ultimi anni, in cui riaffiorano miti, luoghi ed immagini dell’antichità classica, di cui «Mantle Of The Night», uscito agli inizi di giugno, rappresenta l’ultimo capitolo di una piacevole neverending story. Le macchine non si sono ancora freddate che Bob Salmieri annuncia Iuna collaborazione internazionale con la cantante americana Mary Ann Palermo ed il The Jazz Voyager Project, con la sezione fiati diretta da Alfredo Posillipo, gli arrangiamenti Danilo e la partecipazione di Gianluca Urbano.

Ma chi è veramente Bob Salmieri. Cerchiamo di capirlo attraverso una recente intervista:

D. Intanto chi è Bob Salmieri, come nasce musicalmente e con quali strumenti?

R. Sono, in qualche modo, figlio dell’immigrazione, la famiglia di mio padre, di Favignana (TP) emigra in Tunisia a inizio Novecento, mio padre nasce a Tunisi e ci vive per i primi vent’anni, poi decide di venire in Italia per fare la guerra. Io sono cresciuto a Roma, in una enclave siciliana al Villaggio Olimpico. A sei anni mio padre ci ha portato in Tunisia a vedere dove era nato e credo che da lì sia nato il mio interesse per il Medio Oriente e la sua cultura. Ho cominciato con la chitarra come quasi tutti per poi passare al pianoforte, alle tastiere e verso i vent’anni al sax che ho studiato e studio con regolarità e che ritengo il mio strumento, senza perdere l’interesse per altri strumenti come il ney o il baglama.

D. Sei una sorta di catalizzatore di stili molteplici, ma questo tuo essere onnivoro è congenito o si è sviluppato negli corso degli anni attraverso lo studio e la ricerca?

R. Sono stato sempre così, molto curioso, ma fino a una certa età sparavo un po’ nel mucchio, solo dopo aver acquisito disciplina, sono riuscito a seguire un percorso più definito e ad approfondire certe tematiche, sviluppando una specie di ossessione per la ricerca verso gli aspetti meno noti o dimenticati della nostra storia, come la dominazione araba della Sicilia con gli immensi tesori che ha lasciato in ogni settore: poesia, agricoltura, pesca, irrigazione, architettura, etc. o per gli artisti dimenticati come il Poeta Ignazio Buttitta, lo storico Michele Amari e la sua immensa Biblioteca arabo-sicula o la Storia dei Musulmani in Sicilia o la cantante Rosa Balistreri.

D. Operi su tantissimi fronti: ma l’impressione è quella che tu faccia soprattutto un percorso introspettivo alla ricerca delle tue radici?

R. Mi sorprende come tu sia arrivato a queste conclusioni conoscendomi appena; sì, è proprio la ricerca delle radici il» percorso più definito» a cui accennavo prima; La fortuna di avere origini siciliane è quella di avere radici che sprofondano all’infinito in un terreno fertile. Nel 1998 con Milagro Acustico abbiamo inciso il primo cd «Onirico»: belle canzoni, funky, blues, latin jazz ma che centravano con me? Sentivo che non era un lavoro completamente onesto che guardava più a un riscontro del pubblico che non a una vera ricerca interiore, una sincera espressione di quello che ero ( e comunque non ebbe successo! Non trovammo nessuna etichetta che ci pubblicasse) così cercai di capire «cosa» dovevo suonare. La parola magica fu proprio «Radici». Cercai di guardarmi dentro e dietro e venne fuori «I Storie o cafè di lu Furestiero» un cd realizzato con la collaborazione di diversi musicisti stranieri e poi al libro di racconti omonimo. il disco fu pubblicato nel 2002 da una etichetta californiana «Tinder Records» e il libro da Edizioni Interculturali. Da allora non ho mai abbandonato l’idea che l’ispirazione va cercata nelle proprie origini.

D. Nei tuoi dischi traspare sempre questa tua attenzione per le espressioni culturali, artistiche del Mediterraneo, dove il jazz sembra un pretesto per gettare un ponte ideale tra il Mediterraneo e vari mondi musicali possibili?

R. Il Mediterraneo e la Sicilia nel mezzo, sono fonte di tesori infiniti. Con Erodoto Project, ricordo che alcuni brani, sono scritti da Alessandro De Angelis e molti a quattro mani, utilizziamo un altro linguaggio ma gli stimoli sono sempre lì, nella Storia, nei Miti e nelle leggende del Mare Nostrum. Mi interessa trovare affinità fra la storia passata e il nostro presente, raccontare dei flussi migratori che da sempre avvengono nel Mediterraneo, per un verso o per l’altro (come appunto fu per la mia famiglia) scrivere canzoni che parlano dei Miti del Mediterraneo. Siamo fra i popoli fortunati del Mondo che hanno radici così profonde e con così tante testimonianze lasciateci in eredità.

D. Ritieni che il jazz sia il linguaggio ideale per unire le varie espressioni culturali che rivivono nei tuoi dischi?

R. Io vedo il jazz come una sorta di porto sicuro, un’ancora di salvezza, qualcosa a cui, artisticamente parlando, sono legato ma da cui cerco di allontanarmi verso altre direzioni per poi farne ritorno; un po’ come Ulisse per la sua Itaca, tanto per restare in tema.

D. Il tuo è un lavoro a dir poco straordinario e anche in controtendenza. Molte espressioni jazzistiche e para-jazz oggi guardano al Nord Europa e ad un certo classicismo strumentale, tu invece orbiti tra Turchia, Sicilia e Nord Africa e riscopri anche l’utilizzo di strumenti desueti e lontani dalle tecnologie. In quest’epoca un po’ superficiale e poco refrattaria alla cultura, non temi di essere incompreso?

R. Sinceramente non mi sono mai posto questo problema; io faccio la musica che so fare e racconto le storie che conosco. Non mi lamento della nostra epoca; certamente quello che dici è vero ma si può affrontare in modi diversi: io trovo invece molto stimolante questo periodo: attraverso le piattaforme digitali si ha la possibilità di ascoltare musica incredibile da tutte le parti del Mondo, si può interagire con musicisti in altri paesi e realizzare progetti internazionali, si possono condividere informazioni e approfondire la conoscenza attraverso internet… non è l’epoca superficiale ma le persone che si limitano alla cultura di base, come si dice, mainstream.

D. Qual è la reazione del pubblico del jazz alla tua musica?

R. Per rispondere alla tua domanda mi devo rifare al pubblico forestiero e non a quello nostrano che sicuramente è più benevolo. La risposta del pubblico è comunque simile a quella di altri posti dove abbiamo suonato all’estero: la sensazione che ho avuto, è che il pubblico assista a uno spettacolo inaspettato, trovandosi a suo agio con il linguaggio che utilizziamo, come fosse una sorta di Esperanto musicale, dove ci si intende in qualche modo, nonostante le distanze geografiche.

D. Se dovessi descrivere con poche parole la tua musica nel complesso, come la definiresti?

R. Io la definirei semplicemente Jazz Mediterraneo senza farla tanto difficile.