Sal Nistico – “Empty Room”, 1988
// di Francesco Cataldo Verrina //
Salvatore Nistico, detto Sal, di chiare origini italiche, è stato un sassofonista tenore di rango ed un jazzista sopraffino; dotato di capacità espositive non comuni, vanta collaborazioni importanti, tanto da poter essere avvicinato ai grandi afro-americani del sax. Nato a Syracuse, New York, il 2 aprile 1940, si era appassionato al jazz sin da ragazzino, studiando dapprima il contralto, per poi affinarsi sul sax tenore. Alla fine degli anni Cinquanta iniziò a suonare stabilmente in alcune formazioni R&B della West Coast. Dopo un periodo di assestamento, nel 1959, aderisce al progetto Jazz Brothers di Chuck Mangione, facendosi notare per il timbro corposo e convincente che richiamava lo stile di Gene Ammons e Sonny Rollins. In virtù delle sue doti tecniche ed espressive, nel 1962, venne assoldato da Woody Herman ed inserito nella sua orchestra come primo sassofono solista. La collaborazione con il clarinettista-leader durò fino al 1965, anno del debutto nella big band di Count Basie. Gli anni Settanta vedranno Nistico impegnato come leader di diverse formazioni: storiche le sue collaborazioni con Don Ellis, Buddy Rich, Chet Baker, Sarah Vaughan e Tito Puente. Dopo aver a lungo suonato in ogni parte del mondo, negli anni Ottanta, Nistico rientra in USA dando vita a varie iniziative, ma soprattutto divenendo parte attiva del National Jazz Ensemble di Chuck Israel, con cui inciderà tre album. Negli ultimi anni di vita l’attività concertistica lo aveva lo aveva condotto spesso in Europa ed in particolare in Italia.
In questo album della Red Records il sassofonista è saldamente al timone di un eccellente line-up italiano. Registrato al Soundvideocat Studio di Roma il 27 febbraio del 1988 e da poco ristampato in CD dalla nuova Red Records di Marco Pennisi, “Empty Room” può essere sicuramente annoverato fra gli album più riusciti della carriera di Nistico, prematuramente scomparso a soli 53 anni nel marzo del 1991. Il disco costituisce un fulgido esempio di jazz di spessore qualitativo, magnificato da un band-leader in uno stato di grazia ed insanguato da una superba sezione ritmica tutta italiana: Rita Marcotulli al Piano, Marco Fratini al Basso e Roberto Gatto alla batteria.
Risulta davvero difficile trovare, se non scavando nell’albo d’oro del jazz, interpretazioni più oculate, ed al contempo personalizzate, di standard quali “Inner Urge” o “Lush Life”, che da soli valgono il prezzo della corsa. Rita Marcotulli evidenzia tutta la sua generosità creativa già dal primo assolo in “Come Rain Or Come Shine”, dove impianta un’architettura armonica ed un’invenzione ritmica da accademia del jazz, eclissando in parte, e forse involontariamente, l’eccellente sforzo melodico del sassofonista che la segue a ruota. Come sosteneva Sonny Rollins: “Se il pianoforte sfugge al tuo controllo, fai fatica a stargli dietro“.
L’approccio della pianista subisce il fascino dei primi lavori di Keith Jarrett. Marcotulli fa della brillantezza la sua arma migliore, alimentando con tocco inventivo le sofisticate progressioni del band-leader. Dal canto suo Nistico interpreta il ruolo di “maschio dominante” in maniera fluida, elegante e magistrale, snocciolando tutto il bagaglio di swing ed il vocabolario bop in suo possesso. Si dice spesso che la vaglia e la tempra di un sassofonista jazz si possano valutare dal modo in cui esegue una ballata. Nistico supera la prova a pieni voti, interpretando “Lush Life” di Strayhorn in maniera calibrata e con profonda liricità, ma senza sentimentalismo o finta malinconia.
Al centrotavola, c’è la più riuscita composizione di Joe Henderson, “Inner Urge” che, ripresa a briglie sciolte, mette in luce le capacità di conversazione e di dialogo del sassofonista con il line-up: l’interplay è da manuale. L’abilità dei sidemen e la determinazione del band-leader, fanno sì che tutte le tracce dell’album passeggino sul pentagramma con scioltezza, soprattutto quando la retroguardia intensifica l’apporto ritmico. Sul finale, Nistico ed il batterista Roberto Gatto si producono in un avvincente scambio a più riprese. La Title-track, “Empty Room” si sostanzia come una ballata mid-range che evoca stato d’animo brunito e crepuscolare, frutto dell’umore di Nistico e della Marcotulli. Soprattutto nei momenti in solitaria e nelle fughe, i due solisti lanciano strali di passione acuminati come spilli che si conficcano nell’anima del fruitore.
Ci troviamo comunque di fronte ad una pietanza sonora in agro-dolce. Lo standard di Sammy Cahn, “I Should Care”, sembra quasi un gioco sbarazzino ed irriverente, il suo andamento vivace e su di giri rimane sospeso per circa cinque minuti, fino a quando non interviene un cambio di rotta, dove il tempo e l’umore scivolano avanti e indietro, lenti ed ammantati da una rarefatta atmosfera melodica. “Hymn” di Charlie Parker è una perfetta dichiarazione d’intenti in linea con il prontuario bop, dove gli assoli del sax e del pianoforte risultano assai caratterizzati ed espressivi.. Nel suo nuova veste editoriale, “Empty Room”, oltre a riportare in auge un artista per certi versi scomparso dai radar, può essere considerato come una sorta di racconto sonoro senza confini spazio-temporali, che attinge al più venerabile ceppo della tradizione nordamericana, filtrata attraverso la lente di un jazz di concezione europea, che ne amplifica lo spettro emotivo, soprattutto quando il sassofonista ritrova le sue italiche radici.
Il CD è stato ristampato di recente dalla nuova Red Records di Marco Pennisi.