// di Francesco Cataldo Verrina //
Sabato 9 luglio 2022, Enrico Rava è arrivato sul palco del Teatro Morlacchi con 15 minuti esatti di ritardo. In verità è il solito quarto d’ora accademico, come spiegavo ad un fotografo giapponese seduto accanto a me, che Italia si concede alle autorità ed ai professori. In effetti Rava è un maestro di fama mondiale e la sua riconosciuta influenza nell’ambito del jazz europeo è acclarata da tempo. Come suggerisce l’ufficio stampa di Umbria Jazz: è forse inutile sottolineare ancora una volta quanto Rava abbia inciso sullo sviluppo del jazz italiano. Il free jazz dei primi anni della carriera con Steve Lacy e Gato Barbieri, l’esperienza newyorkese con Cecil Taylor, Carla Bley e la JCO (la monumentale opera della Bley, “Escalator Over The Hill”), gli incroci con l’avanguardia europea, la scoperta dell’opera lirica in chiave jazz, le collaborazioni con alcuni dei più importanti artisti della scena contemporanea: sono capitoli, più che di una singola biografia, della storia del jazz europeo.
Il concerto tenuto al Teatro Morlacchi ieri pomeriggio, 90 minuti di assoluto happening, è stato forse il modo migliore da parte del trombettista/flicornista di festeggiare i suoi primi ottant’anni, sostenuto da una giovane band, ma di riconosciuto valore, forse uno dei migliori line-up che Rava abbia mai avuto dall’inizio della sua lunga carriera: Francesco Bearzatti al sax, Giovanni Guidi al pianoforte e la sezione ritmica del New Quartet che vinse nel 2015 il referendum di Musica Jazz; Francesco Diodati alla chitarra, Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria. La performance live è legata a doppia mandata al suo ultimo lavoro discografico “Special Edition”, italiano “Edizione Speciale”, che restituisce al mondo un Rava rinvigorito da un gruppo di supporto legato quasi telepaticamente con il band-leader, attraverso un interplay creativo fatto cambi di tempo e di mood imprevedibilmente creativi che hanno lasciato senza fiato la platea del Morlacchi tra scroscianti e ripetuti applausi.
Rava che come tutti i trombettisti attempati preferisce suonare il flicorno, strumento dal suono melodioso e meno aspro, ma soprattutto più agevole e naturalmente più gestibile della tromba, che richiede un impegno fisico, polmonare e labiale maggiore, però, anziché adagiarsi su un glorioso passato, appollaiarsi su una manciata di ballate standard e di sicuro effetto o dettare un compitino facile e ruffiano alla sui sodali o agli spettatori, si mette in gioco e gareggia con giovanile vigoria, soprattutto non tiene tutto per sé il fulcro della scena, ma lo condivide con i sidemen, un ensemble con l’argento vivo addosso. Lo schieramento è quasi a quattro punte: perfino la chitarra di Francesco Diodati, che apporta un sapore vagamente fusion, quale elemento aggiuntivo alla retroguardia ritmica, diventa spesso un ingranaggio importante sul front-line, anzi al chitarrista vengono concessi lunghi assoli. I pezzi sono tutti molto dilatati, il passaggio di consegne da un musicista all’altro è netto ed anche il contrabbasso di Gabriele Evangelista, esprimendo una tendenza alla melodia ed una precisione millimetrica da accademia dl jazz, trova sempre il suo break-even-point. Il batterista Enrico Morello è una vera forza della natura, muscolare ed energico, sempre sul pezzo, nei cambi e nei raddoppi di tempo.
La vera punta di diamante è pero il geniale Giovanni Guidi, pianista di rango, capace di unire al contempo potenza, precisione stilistica ed un senso dell’orientamento melodico non convenzionale: le sue mani sulla tastiera sembrano a volte presse meccaniche, specie sulle ottave basse e punte di fioretto sul registro alto, i suoi assoli sono zampillanti ed il suo comping sempre inventivo e stimolante per i due fiati in posizione centrale. Un encomio solenne va certamente al sassofonista Francesco Bearzatti che non abbandona mai il vecchio maestro della tromba, spesso lo segue all’unisono, lo blandisce, lo imbecca e ne compensa qualche piccola carenza di fiato, ma il tandem è perfetto soprattutto negli scambi a corta distanza. Nel complesso una performance memorabile che spazia dal modale spinto al volo libero, passando per un coriaceo post bop, poche smancerie o zucchero filato, molte atmosfere latine e qualche tentazione fusion: splendido il finale dopo il bis con una versione quasi ironica di “Qui Sas”. Un Enrico Rava redivivo e vivo più che mai, anzi immortale!