Stefano Benni

La prosa di Stefano, caratterizzata da un’immediatezza espressiva, da una disarmonia voluta e da un’ironia graffiante, trova un parallelo significativo nell’universo musicale di Thelonious, pianista di genio che Benni stesso amava profondamente. Entrambi gli artisti, infatti, hanno saputo scardinare le convenzioni dei rispettivi linguaggi per creare opere di straordinaria originalità ed impatto.

// di Francesco Cataldo Verrina //

La dipartita di Stefano Benni, avvenuta a Roma, il 9 settembre all’età di 78 anni, priva il panorama letterario e culturale italiano di una delle sue voci più originali e significative. La sua scomparsa segna la fine di un’era per la letteratura umoristica e satirica del nostro paese, un vuoto che difficilmente potrà essere colmato.

Nato a Bologna nel 1947, Benni ha intrapreso un percorso artistico che l’ha visto eccellere in molteplici discipline: giornalista, poeta, narratore, sceneggiatore, drammaturgo e persino autore televisivo. Il suo esordio, saldamente ancorato alla satira politica, con collaborazioni prestigiose su testate quali «Linus», «il manifesto», «Cuore» e «Tango», ha rapidamente rivelato una versatilità rara, unendo un’intelligenza acuta a una vena creativa inesauribile. La sua opera letteraria, costellata di titoli che hanno segnato la storia della letteratura satirico-umoristica italiana, quali «Bar Sport», «La Compagnia dei Celestini», «Comici spaventati guerrieri» o «Il bar sotto il mare», si distingue per un linguaggio peculiare, sapientemente intessuto di giochi di parole, sfondi e luoghi impossibili, figure spassose, narrazioni fantastiche e riferimenti satireggianti. La sua prosa, caratterizzata da una giocosa spontaneità, crea un universo linguistico autonomo e riconoscibile, dove la destrutturazione della narrazione tradizionale, spesso frammentata e corale, ricorda le tecniche del Nouveau Roman francese, pur innestandovi una comicità squisitamente italiana.

Benni eccelleva nell’arte della parodia, non solo dei generi letterari, ma anche dei linguaggi settoriali e dei cliché della comunicazione di massa, smontandoli con arguzia e restituendoli al lettore in una veste inedita e spassosa. La sua scrittura è un caleidoscopio di registri, che spaziano dal parlato più colloquiale a un lessico ricercato, creando un effetto di straniamento che amplifica la carica comica e satirica. Si pensi, ad esempio, all’uso di neologismi e di espressioni idiomatiche inventate. La sua capacità di creare personaggi memorabili, spesso grotteschi ma sempre profondamente umani, attinge a una tradizione letteraria che va da Gogol a Flaiano, ma la rielabora con una personalissima lente deformante. La sua opera si colloca in una linea di continuità con la grande tradizione della letteratura umoristica italiana, da Collodi a Pirandello, ma la rinnova con una sensibilità contemporanea, affrontando temi attuali con uno sguardo disincantato ma mai cinico. La sua capacità di intrecciare trame complesse, spesso con finali aperti o sorprendenti, invita il lettore a una partecipazione attiva, stimolando l’immaginazione e la riflessione critica. La sua opera dimostra come la creatività linguistica e uno sguardo ironico e immaginifico possano illuminare sia le storture della società italiana sia le pieghe più intime dell’animo umano. La sua scomparsa lascia un vuoto, ma la sua opera rimane come un faro, pronto a guidarci attraverso le sue creazioni, dove, come il suo amato Lupo, Lupus, Lupetto, egli continua a fluttuare, eterno nella sua comicità, nel suo spavento e nella sua guerriera resilienza.

La letteratura di Stefano Benni e la musica di Thelonious Monk, pur appartenendo a sfere artistiche distinte, presentano affinità sorprendenti che meritano un’attenta disamina. La prosa di Stefano, caratterizzata da un’immediatezza espressiva, da una disarmonia voluta e da un’ironia graffiante, trova un parallelo significativo nell’universo musicale di Thelonious, pianista di genio che Benni stesso amava profondamente. Entrambi gli artisti, infatti, hanno saputo scardinare le convenzioni dei rispettivi linguaggi per creare opere di straordinaria originalità e impatto. La scrittura di Benni, spesso definita «disarmonica» per la sua tendenza a rompere gli schemi narrativi tradizionali, a giustapporre registri stilistici eterogenei e a prediligere personaggi e situazioni ai margini, riflette una sensibilità affine a quella di Monk. Il pianista, infatti, è noto per le sue composizioni che sfidano le strutture armoniche convenzionali, per l’uso di dissonanze audaci e per un fraseggio aspro, quasi scultoreo, che non mira alla levigatezza melodica, bensì a un’espressione più cruda e diretta delle emozioni. L’ironia, elemento distintivo della letteratura di Benni, si manifesta in un umorismo sottile e spesso corrosivo, che colpisce le ipocrisie sociali e le assurdità della vita quotidiana. Allo stesso modo, la musica di Monk, pur nella sua apparente astrattezza, è intrisa di un’ironia sottile, quasi beffarda, che emerge dalla sua personale interpretazione del bebop e dalla sua capacità di trasformare temi familiari in qualcosa di radicalmente nuovo e inaspettato. Le sue melodie, spesso definite «strane» o «storte», comunicano un senso di giocosità intellettuale, una sorta di sorriso sornione che risuona con l’arguzia di Benni. La «immediatezza» della prosa benniana, la sua capacità di arrivare dritta al punto con un linguaggio apparentemente semplice ma carico di significati impliciti, può essere paragonata alla forza comunicativa della musica di Monk. Quest’ultimo, pur nella sua complessità armonica e ritmica, riesce a trasmettere un messaggio potente e universale, una sorta di verità essenziale che scavalca le barriere della comprensione intellettuale per toccare direttamente la sfera emotiva dell’ascoltatore. Entrambi gli artisti, dunque, condividono la capacità di parlare un linguaggio diretto, autentico, capace di scuotere e coinvolgere profondamente il fruitore della loro arte. Si può quindi affermare che esista una profonda risonanza tra l’approccio letterario di Stefano Benni e la musica di Thelonious Monk. Entrambi hanno dimostrato come la rottura delle convenzioni, l’uso audace del linguaggio (sia esso verbale o musicale) e un’ironia penetrante possano condurre a forme d’arte di straordinaria potenza espressiva e di duratura rilevanza. La sinergia tra letteratura e musica evidenzia come l’arte possa trascendere i propri confini, trovando eco e risonanza in espressioni apparentemente distanti.

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