// di Francesco Cataldo Verrina //

Mercoledì 31 maggio 2023, abbiamo presentato in radio alcune delle ultime ristampe in vinile della Red records.

«INTIMACY», IL RITORNO DI CHET BAKER SU DOPPIO VINILE

La Red Records, tornata a produrre, gioca subito una carta importante. Dal qualche mese è disponibile sul mercato un inedito di Chet Baker, che non mancherà di alimentare il dibattito a livello planetario. L’opera, inizialmente in CD, è ora spalmata su un doppio LP con copertina getfolder di pregio e booklet interno con le note informative, raggiunge senza difficoltà il segmento di mercato più alto del vinile, quello praticato dagli audiofili. L’album è ricavato da un concerto registrato il 1° dicembre del 1987 al Teatro Nuovo di Catania. Sono in tanti coloro che hanno memoria di questo evento. Il teatro era gremito, ma Chet, a detta dei presenti, si mostrava indifferente alle lusinghe del pubblico; seduto al centro del palco con gli occhi chiusi e la testa ricurva, sembrava calato in una dimensione fluttuante, trascinato dal flusso dei propri pensieri e di una musica che scavava nelle pieghe più recondite dell’animo umano. Molti meriti vanno certamente alla nuova Red Records diretta da Marco Pennisi per aver riportato in auge un piccolo tesoro scomparso, ma anche a chi ha saputo custodirlo per quasi trentacinque anni. «Intimacy», disponibile su doppio vinile, come tutti i ritrovamenti degli ultimi anni relativi ai più grandi jazzisti, quali John Coltrane, Miles Davis, Thelonious Monk, etc, anche per Chet Baker si potrebbe usare il concetto manzoniano di «provvida sventura». Del resto, molti artisti hanno avuto vite difficili e morti premature. Il fatto che il loro nome, grazie a ritrovamenti di tale portata, continui ad essere vivo ed attuale, rappresenta una sorta di riscatto sul tempo e sulla sorte.

HANK JONES TRIO, CON GEORGE MRAZ E KENNY WASHINGTON, DOPPIO VINILE INEDITO

Al momento della registrazione di questi inediti, il 17 luglio del 1991, al Brassgroup Acireale Jazz Festival, Henry Jones Jr, detto Hank, aveva 73 anni ed era ritornato in auge da tempo, imponendo un modello di piano trio interattivo, che in quel periodo era diventato un modus agendi tipico di molti musicisti jazz. Al netto di ogni deduzione logica o surreale congettura, la formula proposta da Hank Jones diventa paradigmatica e propedeutica ad un modello di piano trio, che dalla fine degli anni Ottanta aveva iniziato a farsi spazio nell’ambito del jazz moderno, affermando sempre di più un ruolo dominante come metodo narrativo all’interno delle dinamiche discografiche e concertistiche. Nella notte di Acireale Hank Jones, pur ruotando intorno al suo mondo, riesce ad ampliare lo spettro percettivo del jazz, allargandone i confini e sciorinando una sapienza idiomatica celata da una semplicità e da un’immediatezza comunicazionale che risuona come un rito ancestrale: il pianista del Michigan interpreta sé stesso, tributa Charlie Parker e Thelonious Monk, ricorre a qualche evergreen, sceglie J.J.Johnson e Joe Henderson per esprimere la sua anima latina.

PAUL BLEY PIANO SOLO CON «BLUES FOR RED» DEL 1990, PER LA PRIMA VOLTA IN VINILE

Forse miglior Paul Blay è rappresentato dal pianista in solitaria, che stabilisce una perfetta simbiosi con il proprio strumento: di sicuro, «Blues For Red» è una delle sue massime espressioni in piano solo, un punto di elevata creatività che oltrepassa il concetto di piano trio e condensa tutto il vissuto precedente attraverso una sorta di cammino a ritroso. Il pianista diventa un dispenser di poesia, sia quando inizia una frase con un arpeggio prolungato ed una sequenza di cellule ritmiche sembrano sondare il terreno, sia che distilli una singola nota avulsa da tutto il resto facendola risuonare, mentre non sai mai dove stia andando e sembrerebbe disperdersi, anche se per logica ed attitudine al jazz ti spetteresti di sapere dove si stesse dirigendo. In «Blues For Red», registrato allo studio Barigozzi di Milano nel maggio del 1990 e prodotto da Sergio Veschi, Bley dipinge con mano sicura quattordici quadri d’autore per piano solo che compongono un set, il quale riflette la versatilità di un interprete a larghe falde. L’accento, a volte grave, altre acuto, è sul blues, ed il pianista dimostra di conoscerne a menadito la sintassi, coprendo un ampio spettro di stili, tanto da poter irretire perfino i cultori della sua estetica più libertina.

«MORE BLUES FOR MYSELF», L’INEDITO DI CEDAR WALTON, UN PICCOLO GIOIELLO DI PIANO SOLO, PUBBLICATO IN VINILE

Da maggio 2023 è disponibile sul mercato una sessione inedita di Cedar Walton in piano solo, «More Blues For Myself», pubblicata in vinile dalla Red Records, che testimonia la grandezza di questo pianista il quale, nell’arco di una carriera durata oltre sessant’anni, non ha mai reciso definitivamente il cordone ombelicale con la sua terra d’origine. Se nel jazz il blues è la colonna vertebrale, nella musica di Cedar Walton diventa anche l’anima ed il motore mobile dell’impostazione armonica e del modulo espressivo. Nel febbraio del 1986, Cedar Walton registrò un’intera sessione in solitaria allo Barigozzi Studio di Milano, evidenziando tutta la sua magniloquenza pianistica. Per una serie di congiunture legate al mercato il nastro è rimasto accantonato in cassetto per quasi quarant’anni. Gli otto componimenti eseguiti durante il set sono stati rimasterizzati e pubblicati in vinile. Sin da un primo e fugace ascolto si ha la sensazione che il tempo non abbia per nulla scalfito il valore di quelle performance e che lo stile esecutivo di Cedar Walton, pur concatenato alla tradizione del blues e del bop, sia ancora attuale e che allora fosse proiettato nel futuro.

JOE HENDERSON CON «THE STANDARD JOE» SESSIONE COMPLETA. RISTAMPA IN DOPPIO VINILE DA 180 GRAMMI A TIRATURA LIMITATA

Parlando di Joe Henderson va fatta una piccola premessa in relazione ad una presunta idea di poetica nel jazz. Il concetto di poetica è di natura estetica e si riferisce a tutte le espressioni artistiche, non solo alla poesia – come erroneamente suggerito dal nome – ma anche alla pittura, alla scultura, alla musica, al design, alla cinematografia e alla letteratura in genere. La poetica rappresenta l’insieme strutturato ed organico degli intenti espressivo-contenutistici che un artista esplicita attraverso le sue opere. Parlando di Joe Henderson, sovente, una domanda sorge spontanea: se, nel suo caso, sia possibile parlare di poesia allo stato puro. I tratti salienti del suo sax tenore nitidamente distintivi, il timbro ed il costrutto melodico assumono talvolta le sembianze di una liricità stupefacente, mentre lo strumento diventa una voce narrante capace di emettere frasi, rime e parole. Quanto affermato sul sassofonista è contemplato pienamente nell’album «The Standard Joe» che può essere considerato come l’epitome della sua produzione e la sintesi di poetica musicale, quasi palpabile, divisa tra classici del suo repertorio e la rivisitazione di alcuni evergreen appartenenti ad altri autori. Quest’ultima caratteristica costituiva un fatto del tutto inedito, poiché il sassofonista non si era mai misurato con determinati standard: Joe non amava molto i luoghi comuni e l’omologazione, quindi tutto ciò che passava tra le sue mani diventava quasi inedito e rivitalizzato da una nuova linfa creativa. La ristampa in vinile di pregio dell’album, «The Standard Joe», è disponibile sul mercato in edizione limitata in doppio LP da 180 grammi contenente la sessione completa, numerato e rimasterizzato dai nastri analogici originali restaurati per l’occasione dalla nuova Red Records.

«THE QUEST» DI SAM RIVERS / DAVE HOLLAND / BARRY ALTSCHUL. RISTAMPA IN VINILE

L’incontro di Altschul e Holland con Sam Rivers fu una sorta di allineamento astrale perfetto. Rivers trovò nei due soci, personaggi proteiformi e non facilmente circoscrivibili, un terreno di coltura fertilissimo su cui innestare e coltivare le influenze più disparate che aveva assorbito e maturato negli anni precedenti, in particolare attraverso la gestione, insieme alla moglie Bea, del famoso Loft Jazz Studio Rivbea. Negli anni Settanta il trio tenne numerosi concerti, per contro registrarono pochissimo in studio: esistono, infatti, soltanto due album realizzati in Europa come unica testimonianza tangibile dell’attività di questo fenomenale triunvirato. Il primo disco, «The Quest», registrato a Milano e pubblicato nel 1976 dall’italiana Red Records, è decisamente superiore al secondo, «Paragon», prodotto dalla parigina Fluid Records ed immesso sul mercato circa un anno più tardi. Oggi. Pubblicato di recente dalla nuova Red Records di Marco Pennisi, «The Quest» rivive in una splendida ristampa in vinile 180 grammi con grafica di pregio. L’aver legato il proprio nome a quello di Sam Rivers ha prodotto un’insolita reazione chimica all’interno di quello che potremmo chiamare free-jazz, ma che per tre musicisti di questo spessore appare come un territorio alquanto limitato, avendo dimostrato, nell’arco delle loro singole carriere e collaborazioni a vario titolo, una duttilità che evidenziava una conoscenza del vernacolo jazzistico a 360 gradi. «The Quest», letteralmente «la ricerca», è un album di non facile fruizione per chi è abituato al mainstream convenzionale; parliamo sicuramente di una progressione a volo libero che non perde mai la rotta, poiché chi suona ne conosce bene le coordinate e la precisa destinazione.

STEVE GROSSMAN, 1985 (RISTAMPA CD E VINILE)

In questo set del maggio 1985, registrato allo studio Barigozzi di Milano, il sassofonista sembra più indirizzato verso una dimensione post-Coltrane; anzi, quasi certamente e senza ombra di dubbio, «Love Is The Thing» può essere considerato come un tributo ideale a Trane e dintorni, a cominciare dall’opener «Naima», in cui Grossman, supportato da un’eccellente sezione ritmica, restituisce al mondo una straordinaria interpretazione di questo classico, imprimendogli personalità e vigore e senza mai cadere nel ricalco o nella citazione calligrafica. Il pianista Cedar Walton, il bassista David Williams e il batterista Billy Higgins ne assecondano i piani, rimodulando e dando nuova linfa vitale a brani della tradizione, come «My Old Flame», un flessuosa progressione in crescendo magnificata dall’avvincente gioco melodico; soprattutto la temperatura emotiva cresce attraverso la scossa elettrica innescata da due suadenti ballate: «Easy to Love» e «Easy Living». Il climax si raggiunge con «I Didn’t Know What Time It», un elegante e calibrato mid-range, dove la band trova la migliore quadratura, attraverso una perfetta oscillazione a base di swing.

CEDAR WALTON CON «THE TRIO 1», «THE TRIO 2» E «THE TRIO 3», 1985 / 1986 (RISTAMPA RED RECORDS)

Esistono esempi illustri di piano trio, specie nel periodo aureo del bebop, ma di certo nella fase post-moderna del jazz, fu Cedar Walton che riuscì a portare questa dimensione strumentale, basata sul gioco delle tre carte, ad altissimi livelli, fissando dei nuovi punti di ancoraggio per quella che può essere considerata una delle formule di esposizione jazzistica più adottate anche nella nostra epoca. Geniale fu l’intuizione della Red Records che, negli anni ’80, decise di fissare su nastro e documentare il momento creativamente più ispirato di Cedar Walton, uno dei massimi pianisti jazz del dopoguerra, il quale in perfetta armonia con David Williams al basso e Billy Higgins aveva dato vita ad una delle compagini triangolari più fattive ed affiatate della storia del post-bop, tanto da stabilire quasi delle nuove regole d’ingaggio e diventare paradigmatico per le generazioni a venire. «The Trio 1», «The Trio 2» e «The Trio 3» rappresentano tre tappe strettamente legate di un percorso sonoro tutto italiano, che spianò a Cedar Walton le strade della fama ad imperitura memoria. Questi dischi devono però essere considerati come tre capitoli inscindibili di un’opera omnia che diventa una sorta di enciclopedia educativa del piano trio. In «The Trio 1», «The Trio 2» e «The Trio 3», il tocco di Walton appare costantemente dinamico ed inventivo, decisamente da accademia del jazz moderno, mentre i suoi voicings, talvolta speziati, altre introspettivi, sono esaltati dalla complicità telepatica dei due sodali. Tre piccole gemme raccomandate a tutti i collezionisti ed i cultori di jazz straight-ahead. Attualmente disponibili in CD e Vinile nel catalogo della nuova Red Records di Marco Pennisi.

WOODY SHAW QUINTET LIVE IN EUROPE CON «TIME IS RIGHT» DEL 1983. RISTAMPA IN VINILE

«Time Is Right», ottimo Live di Woody Shaw, su etichetta Red Records, registrato dal vivo a Bologna nel gennaio del 1983, presso Osteria delle Dame, in occasione del Woody Shaw Quintet Live In Europe, con la produzione di Alberto Alberti e Sergio Veschi, il disco è stato ristampato e pubblicato di recente su CD e vinile dalla nuova Red Records di Marco Pennisi L’album «Time Is Right» contiene quattro splendide lunghe tracce, tra cui spicca l’iniziale «Moment To Moment» della durata di 11 minuti e 50, una ballata mid-range, impregnata di soul, che offre alla tromba nitida ed avvolgente di Shaw anche scalate su registri alti e taglienti, ma con un garbo ed un equilibrio da manuale; molto più lunare la title-track, sempre a firma Woody Shaw. Sulla B side, «You And The Night And The Music è una fuga onirica in crescendo del pianista Mulgrew Miller, della durata di 10 minuti e venti secondi, con una retrovia che incalza sul ritmo, imbeccata dai tasti del piano colpiti con fervore e veemenza, fino all’arrivo dei due fiati che ripetono lo schema iniziale, aggiungendo un gioco di scambio fatto di riff veloci; «Will Be Togheter Again», restituisce la titolarità dell’opera ed il comando a Shaw che su un incessante tappeto ritmico, senza pause e senza soste, tenta delle vie oblique ampliate dai suoni esotici del trombonista Steve Turre con le sue haitian shell (strumento haitiano fatto di conchiglie). Eccellente il lavoro di Stafford James al basso e Tony Reedus alla batteria.

BOBBY WATSON QUARTET CON «LOVE REMAINS», RISTAMPA IN VINILE RED RECORDS

Da molti considerato uno dei momenti più alti della carriera di Bobby Watson, «Love Remains» fa parte del periodo in cui il sassofonista americano, quasi come avvolto da un’aura magica, diede il meglio di sé, forte di una maturità espressiva e stilistica ineguagliabile. In questa fase della carriera, l’altoista è riuscito ad ottenere dal suo strumento più di quanto molti suoi colleghi non siano riusciti a fare nell’arco di una vita. Ogni assolo è una mini lezione di jazz, una master class per contraltisti. Da quando nel 1977, Art Blakey, incubatore e magnificatore di molti talenti del jazz moderno, aveva inarcato le sopracciglia dopo aver assistito all’audizione di questo «ragazzo di campagna», di tempo ne era passato; Bobby Watson aveva affinato al massimo la tecnica e assunto i crismi di una personalità forte e caratterizzata, liberando il sassofono contralto dal tipico schema parkeriano. E’ pur vero che il sassofonista non ha mai perduto del tutto l’iniziale imprinting, per cui, a livello istintivo, certe note sembrano richiamare il fantasma di Bird, così come, nei momenti più dolci e rilassati, quello di Johnny Hodges, ma gli studi, le frequentazioni e le esperienze accumulate nel corso degli anni lo hanno portato a definire uno modus operandi ben preciso e riconoscibile sin dalle prime battute. Il risultato è, forse, una delle performance più struggenti della storia del jazz moderno, in cui la profondità delle emozioni diventa abissale. Nel complesso, «Love Remains», dotato di aura simile a quella di certi dischi del passato, si sostanzia come un capitolo importante nella storia personale e pubblica di Bobby Watson.

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