Una solida architettura musicale eretta su materiali originali ed inediti: tutti i componimenti nascono dall’interazione fra i quattro sodali, di cui esprimono intime sensazioni ed esperienze di vita vissuta.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nel caso dei MaNiDa si potrebbe davvero parlare di jazz europeo, o comunque di un «contemporary» allargato con una visione continentale aperta, nel senso che il quartetto italiano esordisce con un’etichetta norvegese, AMP Music & Records, gestita da uno svedese, Anders Thorén. Per uno strano paradosso, con l’album «Foreṡìa», i MaNiDa, esplorano una fitta giungla di sonorità che non sono proprio quelle del jazz nordeuropeo o scandinavo – come si potrebbe immaginare – ma si solidificano attraverso un fitto dedalo armonico che favorisce episodi di contrappunto melodico, alternati a momenti che richiamano espressioni corali.
I MaNiDa nascono nell’estate del 2020 con l’obiettivo di creare un mood sonoro originale e fortemente caratterizzato che riflettesse stati emotivi e situazioni ambientali molteplici, sulla scorta di un melting-pot compositivo non condizionato dall’uso di strumenti armonici eccessivamente vincolanti come il pianoforte, con l’eccezione di qualche innesto chitarristico. Muovendosi fra jazz e pop, il loro concept discografico è la risultante perfetta, nonché la summa algebrica delle influenze musicali dei quattro membri del line-up: Niccolò Zanella sassofono, Martina Bergonzoni voce e chitarra, Matteo Padoin contrabbasso, Daniele Patton batteria, i quali agiscono in maniera sinergica e collegiale con un atteggiamento a tratti surrettizio, apportando al parenchima sonoro gli elementi distintivi delle singole personalità strumentali ed esecutive. Non a caso, il nome «Foreṡìa» trae origine da un termine usato in zoologia che indica una relazione parassitaria osservata in alcuni organismi viventi, dove uno si attacca ad un altro per spostarsi. Se non «parassitaria» – il che sarebbe eccessivo – la relazione fra i quattro «organismi» del gruppo risulta alquanto mutualistica e simbiotica. Diversamente, per metafora, i MaNiDa, intenderebbero paragonare l’essere (il corpo) umano costretto a vivere in simbiosi con i propri stati emotivi, i quali se ne servono alla medesima stregua dei parassiti, a volte convivendoci pacificamente, talaltre impadronendosene e facendo del corpo ospitante, ossia della parte fisica dell’organismo, un sagoma inanimata e priva di personalità.
L’album dei MaNiDa è una solida architettura musicale eretta su contenuti originali ed inediti: tutti i componimenti nascono dall’interazione fra i quattro sodali, di cui esprimono intime sensazioni ed esperienze di vita vissuta. La varietà è garantita, tanto che dal punto di vista ritmico, alcuni brani sono caratterizzati da groove ispirati al funk o alla world-music, incorporando riff e vamps armonici a tratti reiterati e taglienti. Basta ascoltare l’iniziale «Home» dal groove direzionale, urbano e cadenzato e paragonarla ai contrasti chiaroscurali delle successive «Roses», «Intro» e «Memories», le quali si addentrano all’interno di più sofisticate strutture armoniche permettendo alla retroguardia un comping aperto e disinibito, nonché calandosi a piene mani sia nel tradizionale vernacolo jazzistico che nelle sue escrescenze o voragini contemporanee. Si potrebbe dire che i MaNiDa agiscano sotto l’influsso di quattro sorgenti ispirative: il jazz moderno, la musica classica, il contrappunto e la suite: come confermano «Reborn» e «Lonely Place». Tali aspetti, pur con differenti peculiarità, trovano coesione e complicità nelle singole composizioni, sviluppando per partenogenesi una varietà di vibrazioni non comuni o prevedibili. La cantante-chitarrista si esprime sia sulla scorta di buon inglese – non propriamente scolastico – che attraverso un controllato vocalese implementato in maniera fine ed espressiva. In fondo, il loro piccolo universo sonoro, della durata complessiva di soli trentadue minuti, racchiude – come già accennato – un insieme di moduli adatti ad un mercato comune del jazz europeo, in equilibrio tra Sud e Nord e mai eccessivamente invischiato con il melodismo italiota. Tali peculiarità affiorano da composizioni quali «Comfort Paradox» o dalla conclusiva «Glacier». Al netto di ogni valutazione estetica, «Foreṡìa», pur sostanziandosi con un disco fluido e scorrevole, piacevolissimo sin dal primo ascolto, contiene due ingenuità tipiche del debutto: in primis l’esiguità del materiale, altri due brani avrebbero dato più sostanza al progetto; in seconda istanza andrebbe lievemente sfondata la voglia di mescolare troppi stilemi, che a tratti finiscono per vanificare l’idea di «concept sonoro». I due limiti sottolineati sono, per i MaNiDa, anche fattori propedeutici alla crescita, tanto da costituire un potenziale stimolo per gli anni futuri e nell’immediato presente: la loro maturità artistica non è molto di là da venire.