LA MUSICA NELL'ERA DEL SESTO
SENSO
da
www.discolancio.it di Francesco Cataldo Verrina
Nell’era del “tutto gratis, in apparenza”, nei meandri
della rete, dove sembrerebbe che sia stato detto tutto o
il contrario di tutto, ci siamo accorti che c’era e una
falla, una sorta di buco dell’ozono nella credibilità di
molti siti che trattano di argomenti musicali o presunti
tali, dove, sovente, è difficile scorgere la differenza
tra professionismo ed improvvisazione: Qualcuno
obietterà: questa è la caratteristica di internet! Siamo
favorevoli ai Blogs, all’open-source, alla circolazione
delle idee e del libero pensiero, alfieri, quali siamo,
di una convinzione, largamente diffusa a vari livelli,
che chiunque debba e possa scrivere qualcosa, aprire i
rubinetti del proprio sapere: l’importante è che tutto
ciò sia fatto con dovizia di particolari e con
argomentazioni esaustive, evitando di creare,
proditoriamente, specchietti per allodole, atti a
condurre “il malcapitato in rete” verso siti che vendono
CD, DVD, gadgets, dischi da collezione, vinile raro,
libri ed opere discutibili di oscuri autori, dopo averlo
trascinato nelle sabbie mobili di una palude di
“collegamenti ipertestuali” creati ad arte. Noi non
vendiamo nulla, se mai ci dovesse essere tra queste
pagine qualche “consiglio per gli acquisti”, sarà
palesato, “bannerizzato” ed esplicitato con contenuti
evidenti, evitando meccanismi di comunicazione sibillina
e metodi da persuasori occulti. In fondo, neanche noi ci
prefiggiamo di regalare nulla a chicchessia, ma solo di
dare libero sfogo a qualche ardito pensiero sul mondo
della musica contemporanea, dagli anni ’50 ai nostri
giorni, tentando di tracciare qualche strada alternativa
per la comprensione e la “riabilitazione” di taluni
fenomeni talvolta sottovalutati, ignorati o dimenticati;
operando, per contro, con argomentazioni chiare e
suffragate da cifre e dati inconfutabili, il
ridimensionamento di eventi, personaggi e dischi troppo
spesso sopravvalutati da critici e divulgatori a vario
titolo per pura appartenenza “ideologica” o mera
identificazione “generazionale”. Chi ha scritto per anni
di “musica giovanile” , o comunque destinata a questo
tipo di consumo, ha avuto la medesima abilità di chi sa
vendere, “la sabbia nel deserto ai Tuareg” o “il
ghiaccio agli Eskimesi”: troppo facile, per quanti hanno
goduto fino “all’altro ieri” della “protezione” di una
KULTURA a senso unica, creata da pochi per la
moltitudine, per quella massa indistinta e indefinita di
piccoli e grandi consumatori, dove, sovente la parola
“consumo” veniva aborrita o camuffata. Per lunghi anni,
una pletora di esperti ha creduto, talvolta riuscendo
nell’intento, di potere e saper dispensare buoni
consigli, “sentendosi come Gesù nel tempio” (non ce ne
voglia De Andrè!). Oggi, la comunicazione, grazie ai
new-media avviene in maniera orizzontale, non più in
modo verticistico. Le nuove frontiere della
comunicazione sono il “Guerrilla Marketing”, il “Low
Budget” il “Word-Of-Mouth”. La vecchia “cultura di
massa” (musicale inclusa), è fuori “sincro”. Chiunque
mastichi di mass-mediologia, anche a livello di scuole
serali, sa benissimo che, nell’era di internet e
derivati, la comunicazione è “diacronica”, non più
“sincronica” . Per intenderci, non c’è solo uno o pochi
che parlano simultaneamente a tutti o quasi, ma molti
che comunicano, in momenti e situazioni differenti, con
tanti. Musica colta, musica seria, musica impegnata,
piuttosto che musica frivola, musica effimera,
canzonette leggere sono le molteplici facce di un unico
fenomeno proteiforme. Si pensi a quanti vendono ed hanno
venduto milioni di dischi, ma si vergognano di
accostarsi all’aggettivo “commerciale”.Tutto ciò che non
è "commerciale", quindi adatto alla libera circolazione
delle merci, non è, né sarebbe stato proponibile, almeno
in un sistema capitalistico, ma neppure in Cina ai tempi
di Mao. Siamo stati testimoni di epoche, meno sospette,
in cui intere generazioni di giovani venivano ingannate
e poi tradite (forse, sarebbe più giusto dire: volevano
farsi ingannare) da chi professava, attraverso la
musica, idee di cambiamento, d’impegno civile e sociale,
per poi dileguarsi nell’Eden dei privilegi e del lusso
con il malloppo. Nulla è avvenuto, dagli ’50 in poi, che
non fosse veicolato dall’industria discografica, da
abili produttori, scaltri promoters; per non parlare dei
tanti loschi figuri ed i mercenari che hanno sempre
lucrato alle spalle dello sconfinato impero musicale:
dal Rock’n’Roll al Punk, dal Folk-Revival all’Italo-disco,
dai Cantautori al Liscio, dal Beat alla Disco-Music, dal
Soul alla New–Wawe, dal Calypso all’House nulla è
accaduto per caso.In questo magma caotico di generi,
stili e sottoculture non esistono, dunque, Beati, Santi
o Divinità intoccabili: la teoria della relatività
diventa quanto mai opportuna, se applicata al mondo
della musica Non sempre, ma spesso, abbiamo assistito
alla codificazione dell’ovvio ed al festival dei luoghi
comuni, soprattutto in questi ultimi anni di musica
senza “anima” e “corpo”, fatta di elementi impalpabili
chiamati “files”: MP3, MP4 et similia. I dischi, in
vinile o CD, erano e sono ben altra cosa, se non altro,
costituiscono elementi tangibili. Ben venga la
tecnologia, che ha consentito a chiunque, e senza
particolari impegni o ingombri, di fruire dei suoni del
mondo e in ogni dove, ma la musica, o “l’arte
invisibile” - come la definiva Duke Ellington - certe
volte, finisce per diventare anche “l’arte inudibile” !
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