IL
PUBBLICITARIO CHE FISSAVA LE CAPRE
Definire la «pubblicità» a volte non è impresa facile,
in particolare delimitarne un concetto, che possa
risultare sintetico, moderno ed esaustivo al contempo,
appare assai arduo. Banalmente si potrebbe dire che la
pubblicità sia «una forma di comunicazione unilaterale,
generalmente declinata attraverso vari mezzi e rivolta a
stimolare la propensione al consumo».
La pubblicità per resistere ai mutamenti e ai capricci
del mercato dovrebbe possedere sempre una forte carica
innovativa, se non eversiva e di rottura rispetto alla
«normalità». Un esempio arriva dal cinema e, a parte
l'argomento inquietante, ci da l'idea di come ogni
pubblicità dovrebbe essere.Réclame delle Pompe Funebri
di James Woods, dal film «C'era una volta in America» di
Sergio Leone del 1984: «Perché ostinarvi a vivere,
quando noi potremmo seppellirvi per 49.50 dollari»
Nella nostra epoca invasa dalle limacciose paludi
dell’incertezza, la figura del pubblicitario appare
sempre più simile a quella di un eroe pronto a
sopravvivere a tutti i costi, nonostante le intemperie
del mercato, e contro i capricci di una sorte avversa.
E’
superfluo ribadire che il pubblicitario abbia già
attraversato nel corso dell’evoluzione della specie
homo-economicus momenti di gloria e di disfatta,
propedeutici ad una selezione quasi darwiniana di questa
composita tribù fatta di individui votati al culto
dell’effimero ed al trasporto emotivo delle merci.
Ad esempio, uno dei cavalli di battaglia del marketing,
negli ultimi anni, è stato il concetto «low cost»,
applicato in tutte le salse, ossia il facile gioco del
prezzo contenuto, degli sconti, delle offerte, dei fuori
tutto e delle promozioni. Come dire che la pubblicità ha
fatto di necessità virtù propugnando un particolare
assunto: «Tu, consumatore non sei un eletto, perché
compri prodotti esclusivi, ma sei più “figo”, più bravo,
più intelligente, se sai comprare bene, ossia a basso
costo!» Il concetto di «prezzo basso» è stato il
paradigma di un verbo coniugato nelle maniere più
disparate, ma forse potrebbe non bastare più. Se da una
parte si levano cori entusiastici nei confronti della
Rete, dall'altra il mercato dei consumi inizia a
manifestare qualche segno di lieve ripresa. E se
dovessimo uscire dalla crisi, molti fra i pubblicitari e
creativi a vario titolo potrebbero trovarsi, se non
impreparati, almeno spiazzati. Negli ultimi anni,
particolarmente in Italia, di creatività vera se ne è
vista, letta e sentita davvero poca: tanti gli
adattamenti o i rifacimenti di campagne internazionali.
Coloro i quali avrebbero dovuto essere i maestri del
pensiero divergente, si sono appiattiti sul concetto del
«facciamo di necessità virtù»: poche cose realizzate con
un pugno di dollari, talvolta anche brutte ma
funzionali, soprattutto in considerazione della
difficile congiuntura.
In un’era di oscurantismo economico, di blackout dei
consumi, la pubblicità è riuscita comunque ad aprire uno
spiraglio di luce. E' bastato un occhio per vedere
meglio: da qui in avanti, forse, bisognerà aprirli tutti
e due. Non sarà tanto determinante, dove (web o media
tradizionali) e quanta se ne farà, ma come la pubblicità
riuscirà a creare quella «sensazione di ottimismo»
intorno alla favola dell'oggetto di consumo, se
dovessimo veramente uscire da questa fase di ristagno
economico. L’artificio della creatività, ossia del
fatto con arte e a regola d’arte, dovrà restituire un
significato forte ed un valore aggiunto alle nuove
modalità di consumo ed ai futuri consigli per gli
acquisti. La pubblicità è una ninfa mutevole, capace di
adattarsi e di metabolizzare in fretta tutti cambiamenti
della società dei consumi. La pubblicità non rappresenta
un fine, ma neppure un mezzo: è solo il messaggio. Essa
si caratterizza come un linguaggio, un modulo espressivo
che, a seconda delle esigenze, si manifesta attraverso
una serie di espedienti e di significanti che ben si
adattano ai nuovi dettami del mercato. La pubblicità non
è il prodotto, non è la marca, non è il prezzo, ma solo
il modo migliore, almeno si presume, di comunicarli al
pubblico. Più la congiuntura economica si mostra
sfavorevole al mercato, più la pubblicità dovrebbe
affinare le sua arma vincente, l’unica possibile: la
creatività. In verità, in questo ultimo lustro, i
pubblicitari non l'hanno fatto, lasciandosi sopraffare
da un cumulo di preoccupazioni per un futuro incerto e
nebuloso. Ma se è vero che dalla crisi debbano scaturire
delle opportunità, l'auspicio è quello di farsi trovare,
almeno, preparati.
Gli studiosi di scenari predittivi ci fanno sapere che,
in avvenire, la selezione sarà ancora più terribile:
solo i più robusti sopravviveranno. Qualsiasi forma di
gracilità creativa finirà al macero, soprattutto in
considerazione del passaggio da una fase di consumo
quantitativo, ad una più selettiva. In futuro
acquisteremo meno prodotti, ma di qualità. Avremo più
marketing e meno comunicazione, più brand e meno
no-logo. In ogni caso, gli ingredienti e le pietanze al
banchetto dei consumi di massa potranno variare o
cambiare ma, da perfetto maggiordomo qual è, la
pubblicità dovrà essere in grado proporre un servizio
impeccabile. Diversamente, i committenti potrebbero
alzarsi da tavola infuriati. Siccome la pubblicità
moderna è passata dalla comunicazione denotativa a
quella connotativa della merce, dove Il consumatore non
vede più l’oggetto e la sua funzione, ma il plusvalore
emozionale che lo caratterizza, al pubblicitario
spetterà, ancora e soprattutto, il difficile compito di
innescare il cosiddetto «trasferimento della
sensazione».
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